Il Grande Dittatore
La realtà che abbiamo tutti sotto gli occhi è quella di una guerra nuova. Tecnologie mai viste si confrontano e prevalgono su vecchi sistemi d’arma. Il mondo affronta inediti equilibri fondati sulle intrecciate dipendenze economiche e su una disomogenea distribuzione delle risorse energetiche, con conseguenti stravolgimenti di alleanze e sodalizi. Le popolazioni civili vengono travolte dal conflitto e la loro fragilità diviene strumento di pressione e arma essa stessa da utilizzare nel confronto bellico. Sono queste le cose di cui si dovrebbe discutere. L’esplosione di questa crisi dopo due anni in cui la pandemia aveva già messo a dura prova la capacità di tutti noi (ma in particolare delle leadership) di leggere in maniera adeguata i mutamenti in atto dovrebbe spingerci in maniera pressante a interrogarci sul tempo attuale e su come rendere migliore il nostro futuro.
E invece… ci occupiamo del Grande Dittatore, del fantasioso segreto rapporto sessuale fra un suo nonno e la governante ebrea a Graz, dei nazisti di qua e di là dal fronte. Ben inteso: non c’è nulla da ridere in tutto questo. Che l’antisemitismo e i suoi simboli tratti dalla storia dello sterminio nazista fossero divenuti negli ultimi anni un’arma ben collaudata nel linguaggio politico lo sapevamo bene. Come era anche perfettamente noto che in Europa orientale quei temi fanno parte del sistema di propaganda e danno sostanza alle conseguenti azioni politiche. Era forse meno nota la propensione di settori del nostro mondo della comunicazione a dare per buone certe affermazioni e – soprattutto – a valorizzarle, tornando a inoculare nel pubblico italiano elementi della retorica antisemita che tanti danni hanno fatto nel recente passato.
Il sospetto è che – come la figura dell’angelo della storia evocata da Walter Benjamin – ci si volga con lo sguardo al passato incedendo di spalle verso il futuro, impedendosi così di cogliere nel profondo le contraddizioni del nostro presente. Parlare a ogni piè sospinto di Hitler (che il suo nome sia maledetto in eterno) significa sviare la nostra attenzione impedendoci di ragionare su quel che veramente stiamo vivendo, significa anestetizzarci intenzionalmente spingendoci a un inutile confronto sulle macerie del passato, senza cogliere l’enorme gravità di quel che sta accadendo oggi, qui, ora.
Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC