Fratelli Sereni: le carte e gli stimoli
di un dialogo indimenticabile
Un dialogo epistolare appassionante quello che ebbe per protagonisti Enzo ed Emilio Sereni tra Anni Venti e Trenta del secolo scorso. Pagine che, con molte analogie possibili, si inseriscono nella scia di un altro confronto che già aveva opposto due fratelli illustri dell’ebraismo europeo su temi come sionismo, identità, senso del proprio impegno: Gershom e Werner Scholem. È la chiave di lettura proposta da David Bidussa, storico sociale delle idee, nell’ambito di una conferenza sul loro carteggio che si è svolta all’interno della sinagoga di Reggio Emilia, organizzata da Istoreco con la partecipazione anche del rabbino capo di Modena rav Beniamino Goldstein.
Un patrimonio immenso. E che è anche una testimonianza, ha esordito la presidente dell’Istituto Alcide Cervi Albertina Soliani nella sua introduzione, del fatto “che dentro la storia ci sono vite che sognano, soffrono, perdono; ma che vincono sempre, in fondo, perché le sfide le affrontano”. Molto si deve a Bidussa nell’aver fatto conoscere tali scritti. “Questa vicenda è stata spesso raccontata in maniera simbolica. A me – ha sottolineato – interessava tirar fuori da essa degli elementi che riguardassero la mia generazione”. E soprattutto stimolare “una discussione che, fino a quel momento, era avvenuta senza fonti”. Tra i punti di svolta menzionati nelle loro biografie l’incontro “con ambienti culturali dell’Est Europa, successivo alla fine della prima guerra mondiale, che ebbe l’effetto di schiudere loro un mondo di stimoli e fonti”, facendo percepire come del tutto provinciale “il panorama culturale che si erano costruiti fino ad allora”. Da questa particolare prospettiva anche lo spunto per parlare della complessa sfida di cui era investita la borghesia ebraica romana e italiana del tempo (“figlia e nipote di chi era uscita dai ghetti”, ricordava Bidussa) nello scegliersi dei punti di riferimento che potessero esserle d’aiuto nell’ancor fresco contesto dell’emancipazione.
Sulla “scoperta dell’Est” si è poi soffermato anche il rabbino Goldstein. “Un mondo ai più sconosciuto all’interno dell’ebraismo italiano, diversamente da altre comunità occidentali dove non lo si ignorava ma piuttosto disprezzava”. Il rav ha poi ricordato il suo primo “incontro” con Enzo Sereni, nella libreria della “casa del popolo” di Gerusalemme che fu anche lo sfondo del processo Eichmann. Tra le sue mani, infatti, la fondamentale biografia scritta da Ruth Bondi. “Un libro dal quale mi è stato impossibile staccare gli occhi e che mi ha fatto capire quanto straordinaria fosse questa personalità, che sapeva parlare con la stessa efficacia agli ebrei di Berlino e a quelli di Baghdad”. Tra i temi affrontati nel suo intervento anche il rapporto di Sereni con la leadership laburista. Golda Meir, tra gli altri, evidenziò come in tutta la sua vita “pur sionista, rimase sempre anche italiano”. A legarlo, ha spiegato il rav, “un rapporto d’amore viscerale verso la propria patria e cultura; qualcosa di sconosciuto e impossibile per quella generazione di ebrei orientali”.