Storie di Libia – Moshe Labi
Moshe Labi, ebreo di Libia. Nato a Bengasi il 22 febbraio 1931, la lasciò nel 1943. La Libia, ricorda, è suddivisa in due regioni: la Tripolitania e la Cirenaica. La prima fu influenzata dall’occupazione dei Fenici che venivano dal Tyre, Libano, la seconda dalla Grecia. Esse erano indipendenti l’una dall’altra. Quella che chiamiamo oggi Libia nei secoli fu poi occupata da vari Imperi. Quello Persiano, sotto il regno del figlio di Ciro (che fu un benefattore del popolo ebraico). Poi arrivò Alessandro il Grande e successivamente l’Impero romano.
La popolazione, compresa la comunità ebraica, insorse. L’imperatore Adriano mandò così le sue legioni per sedare la rivolta. Gli ebrei furono quasi decimati. Nell’ottavo secolo arrivarono gli Arabi. Occuparono l’Egitto e la Libia. Per celebrare questa conquista, modificarono il nome di Cirene in Bengasi. Nel tempo altri eventi cambiarono la vita del paese. Il primo fu l’occupazione spagnola che durò trent’anni e portò l’Inquisizione cattolica, che tentò di abolire la religione ebraica. Molti ebrei furono costretti a fuggire. Una parte andò a Napoli e a Livorno. Un’altra parte si rifugiò sulle montagne di Giado e Gebel Nefusa convivendo con i Berberi. Quando gli Spagnoli lasciarono la Tripolitania subentrarono i Cavalieri di Malta, che per 15 anni si comportarono come gli Spagnoli. Nel 1555 gli Ottomani occuparono la Libia e gli ebrei del Gebel ritornarono a Tripoli. Il secondo evento fu l’arrivo del rabbino Simon Labi. Nato a Saragozza, fu espulso con gli altri ebrei dalla Spagna. Studiò a Fez, diventando rabbino e cabalista. In età matura decise che voleva morire in Israele. Arrivò a Tripoli e vide che la comunità era ignorante riguardo alla religione ebraica (anche a causa dell’isolamento) e decise di rimanere lì per insegnarla di nuovo. In circa 30 anni la trasformò radicalmente, facendola ritornare alle origini. Scrisse anche un importante trattato sullo Zohar, un manoscritto che rimase tale fino al 1775. Poi venne stampato per la prima volta a Livorno e un’altra ristampa fu fatta a Djerba e una terza in Israele. La terza ristampa fu curata fra gli altri da Moshe Labi e suo fratello Eldad. Il terzo evento significativo per la Libia fu la conquista italiana del 1911. L’esercito italiano sbarcò sulla spiaggia di Bengasi. Tale venuta fu ben accolta da molti ebrei che desideravano “europeizzarsi”.
Così la popolazione si divise in due classi sociali. Quelli che volevano diventare europei, che impararono a leggere e a scrivere in italiano e vestivano alla maniera occidentale – avevano rinnovato la loro cultura per integrarsi con il mondo moderno e istituito molti progetti per aiutare i più bisognosi: erano commercianti e rappresentanti di ditte europee che importavano merci in Libia. L’altra parte, racconta Labi, rimase come all’origine ed era composta prevalentemente da artigiani.
Ambedue le società convivevano in armonia e si aiutavano l’un l’altra. Tutti pagavano una tassa alla Comunità Ebraica, che veniva usata come fondo per aiutare i più poveri. C’era anche un’Associazione delle Donne Ebree Italiane (ADEI), come quella italiana. Moshe ricorda che da bambino accompagnava sempre sua madre a questi incontri, dove discutevano di varie tematiche. Fu aperta la scuola italiana Regina Margherita. La mattina veniva frequentata dai bimbi ebrei, dall’asilo alle elementari. Nel pomeriggio i bambini studiavano in quella ebraica il Talmud Torah, per imparare tutto sulla religione ebraica, compresa la lingua ebraica. Quando l’Italia entrò in guerra nel 1940 Moshe non poté più frequentare la scuola italiana. Suo padre era un gioielliere e come tutti i bengasini viaggiava molto e andava frequentemente in Italia, per comprare la merce che poi avrebbe rivenduto a Bengasi. Durante uno di questi viaggi passò per Roma e conobbe la figlia del rabbino Isacco Pines che sposò e portò a Bengasi nel 1930.
Durante l’occupazione fascista nel 1939 fu censita la popolazione di Bengasi. Vi erano 66.000 persone di cui 40.000 erano arabi, 23.000 italiani e 3653 ebrei. Nonostante fossero in numero assai inferiore gli ebrei, gestendo il commercio e gli affari, avevano una grande influenza economica. Vicino alla piazza centrale della città, Piazza Municipio, c’era il quartiere ebraico. Era libero, non circondato da mura come la Hara a Tripoli. Gli Arabi vivevano a nord e gli Italiani a sud. La II Guerra Mondiale cambiò l’allora tranquilla vita a Bengasi. L’11 Giugno 1940 l’Italia entrò in guerra alleata della Germania. Bengasi fu sempre nella regione del combattimento, invece a Tripoli ci furono solo bombardimenti. La Libia fu occupata tre volte dagli inglesi e due volte dai tedeschi. Quando l’Italia dichiarò guerra alcuni giorni dopo, due poliziotti vennero a casa loro e presero suo padre. Lo portarono in carcere e poi al campo di concentramento Zweitina a 100 chilometri a sud di Bengasi. Avevano arrestato tutti i cittadini britannici e suo padre lo era. Succedeva infatti che, quando una nazione occupava la Libia, per ragioni d’interesse desse alle famiglie ebraiche facoltose la cittadinanza. Essi accettavano perché si sentivano più protetti. Gli Ottomani tenevano molto ai rapporti diplomatici internazionali. Così per comuni interessi non davano fastidio ai loro “sudditi”.
Oltre al dispiacere nel sapere il proprio padre chiuso in un campo di concentramento, si aggiunse pure la morte a causa di un’infezione della sua sorellina di nove mesi, che non poterono neanche accompagnare al cimitero a causa della lontananza. Gli italiani avanzarono attaccando l’Egitto, ma un generale inglese, O’ Connor,li respinse. Bengasi venne occupata dagli inglesi. Per tutti loro fu una gioia immensa: pensarono di essere finalmente liberi. Suo padre fu rilasciato. Finalmente si poterono riabbracciare e videro la fine di un incubo. Ma alla fine di febbraio arrivò il generale Rommel a Tripoli. E poi anche a Bengasi. E l’esercito inglese indietreggiò. Quando un esercito si ritira, l’altro avanza. Per circa due giorni non ci fu nessuno che controllasse la città. Era il 3 Aprile 1941 e gli italiani fecero un pogrom contro gli ebrei. Entrarono armati di fucili in tutti i negozi di loro proprietà, saccheggiando e rubando ogni cosa. Così per il terrore i suoi genitori e gli zii decisero di scappare. Cercarono di comprare un auto e di guidarla fino in Egitto. Ma nessuno di loro aveva la patente né aveva mai guidato. La disperazione ti fa fare cose assurde, non ti fa ragionare logicamente. Quando andarono a ritirare la macchina pagata, il venditore italiano, invece di consegnargliela disse che non potevano muoverla. Così scapparono via lasciando lì i soldi. Intanto Moshe con i suoi fratelli e cugini erano rimasti chiusi in casa, e avevano barricato porte e finestre affinché nessuno entrasse. Suo fratello, più piccolo di due anni, pensando di fare una cosa giusta che li avrebbe potuti salvare, prese la bandiera italiana, andò sul balcone per appenderla fuori. In quel momento un italiano gli sparò contro con il fucile. Fortunatamente la pallottola gli sfiorò la testa senza colpirlo e si conficcò nel soffitto.
Non servì a nulla mettere la bandiera. I facinorosi sapevano che lì vivevano solo ebrei, e per loro non esistevano ebrei italiani. Un altro gruppo da più di due ore stava cercando di forzare la saracinesca di ferro della gioielleria di suo padre, e ci riuscirono. Nel frattempo ritornarono i suoi genitori e parenti. Da una porta interna segreta che da casa loro comunicava con il negozio, suo padre entrò e portò via molti preziosi rischiando di essere ucciso. Poi scapparono e si rifugiarono dal loro vicino Renato Teshuba che li nascose. Arrivarono i tedeschi, videro per strada i loro carri armati. Era l’Armata dell’esercito tedesco, non le SS. Con l’arrivo dei tedeschi sembrava che gli italiani si fossero calmati. Ma nel periodo della Mimuna (l’ottavo giorno della Pesach, la Pasqua ebraica) vennero due poliziotti che presero di nuovo suo padre, che fu portato in carcere. A causa dell’aggravarsi del diabete venne trasferito in ospedale, una lunga baracca con molti letti, tenuta dalle suore cattoliche. Tutti i giorni alle cinque il ragazzino andava a trovare suo padre. Nel periodo di guerra, tutto era razionato, davano solo mezza pagnotta a persona al giorno. Così la suora ogni giorno preparava doppia porzione di pasta al sugo con il formaggio. Una per suo padre e una per lui. Dieci mesi dopo gli inglesi occuparono Bengasi di nuovo. E tutti i prigionieri furono liberati. Ma stavolta gli ebrei, stremati e demoralizzati da tutto ciò che era successo, non erano più così entusiasti. Un mese dopo gli inglesi si ritirarono perché i tedeschi avanzavano in Grecia. Churchill, il Primo ministro britannico, trasferì le truppe inglesi dalla Libia per difendere la Grecia dall’assedio tedesco: questo, dice Moshe, fu un grave errore. Quando arrivarono gli inglesi non avevano nulla, né cannoni né carri armati, e tutti furono prigionieri. I tedeschi avanzarono dunque facilmente, occupando di nuovo Bengasi. Dopo qualche settimana, Bengasi venne ripresa dagli inglesi. Anche questa occupazione però durò poco. Prima di ritirarsi, un colonnello maltese li avvisò di scappare e lasciare la Libia. E così fecero, recandosi al porto di Bengasi. Salirono su una nave e dopo tre giorni arrivarono in Egitto.
Clicca qui per rivedere l’intervista
(Per contattare l’autore, anche per eventuali testimonianze sulle storie e le memorie degli ebrei di Libia, è possibile scrivere a: davidgerbi26@gmail.com)
David Gerbi, psicoanalista junghiano
(9 maggio 2022)