Non esistono scorciatoie

Di recente si sono registrate diverse opinioni sull’approccio da tenere verso Fratelli d’Italia. Naturalmente, ciascuna opinione dipende dal retroterra culturale e dalle curiosità di ciascuno. Nel mio caso, m’incuriosisce l’atteggiamento nei riguardi della costruzione europea. Non a caso i Trattati di Roma sono stati stipulati nel 1957, in un momento di grande fiducia nell’avvenire, nel quale si era sicuri che il futuro sarebbe stato luminoso, sulla scia di un progresso che, nel caso del nostro Paese, lo rese ammirato, se non addirittura invidiato per il c.d. miracolo italiano. Sarebbe ragionevole aspettarsi che chi è di destra, se proprio volesse essere nostalgico, lo fosse di quel momento di eccezionale concordia. Credo nel dialogo con Fratelli d’Italia, senza approfondire qui se sia di destra o meno, cosa meno scontata di quanto si creda.
Alla luce delle dichiarazioni di Mario Draghi sull’Unione europea (“dobbiamo superare il principio dell’unanimità e muoverci verso decisioni prese a maggioranza qualificata») sarebbe interessante capire perché FdI consideri che “questa Unione Europea è inadeguata a fronteggiare le grandi sfide dei nostri tempi. Serve una profonda revisione dei Trattati e una diversa Europa che si occupi dei grandi temi: sicurezza, immigrazione, energia, visione di politica estera. Quante volte lo abbiamo ripetuto? E quante volte per questo ci hanno attaccato bollandoci come “sovranisti anti europei”? Adesso però che la pandemia, la crisi e ora la guerra si sono abbattute sull’Europa – evidenziando la sua fragilità – tutti scoprono che avevamo ragione noi. Perfino Mario Draghi, oggi in Parlamento, dichiara che le istituzioni europee sono attualmente inadeguate per la realtà e che serve una revisione dei Trattati. Ovviamente nessuno ammetterà che noi avevamo ragione e loro torto. Non ci interessa, basta che si proceda spediti per superare l’attuale fallimentare modello di UE e si vada verso una Confederazione dei liberi popoli europei.”.
Sennonché, delle confederazioni si è detto che “a differenza di quanto accade per le federazioni in cui vi è una chiara ripartizione dei poteri tra Stati membri e governo federale, è dotata di organi centrali comuni che convivono con una sostanziale indipendenza degli Stati membri, sicché tali organi più che controllare il sistema ne rispecchiano invece le tensioni e le contraddizioni. In tal modo le spinte centrifughe e quelle centripete, alla ricerca di un sempre fragile e provvisorio equilibrio, determinano storicamente l’instabilità tipica di tali entità politiche” (..) Ogni confederazione, dunque, si qualifica inevitabilmente come un sistema altamente instabile che tende a dissolversi o a consolidarsi trasformandosi più o meno velocemente in una federazione dove le spinte centripete sono maggiori di quelle centrifughe, come è accaduto agli Stati Uniti d’America dopo la guerra di secessione (1861-1865) che ha permesso al sistema politico di virare verso un assetto decisamente federale. Oppure la confederazione si dissolve in uno Stato-nazione sotto l’egida di uno o più dei suoi membri come è accaduto nel caso dell’unificazione tedesca (1871) condizionata dall’egemonia prussiana” (Claudio Bonvecchio, Paolo Bellini, Introduzione alla Filosofia e Teoria Politica, Milano, 2017, p. 176 ss.). Fra l’altro, la natura stessa della Confederazione è incompatibile con gli scopi che FdI dichiara di volerle attribuire (“sicurezza, immigrazione, energia, visione di politica estera”).
Non è quindi un caso che in dottrina si sostenga che non esistano le confederazioni, e non è una novità, visto che già nel 1968 si asseriva che “Confederalism is no longer in the syllabus of political science” (Opeyemi Ola, Confederal Systems : A Comparative Analysis, Civilisations, vol. 18, no. 2, 1968, p. 270). Di recente, inoltre, si asserisce che «Confédération: au sens juridique, mode d’association entre des États indépendants et souverains, ayant conclu entre eux un traité international par lequel ils se lient afin de gérer en commun certains de leurs intérêts. Cette notion n’est plus utilisée par le droit international public; elle a été remplacée par celle d’organisation internationale» (Étienne Arcq,Vincent de Coorebyter, Cédric Istasse, Fédéralisme et confédéralisme, Dossiers du CRISP 2012/1 (n°79).
Soprattutto, ritornando alle affermazioni sopra riportate, non sembra proprio, come invece si pretende, che il Presidente del Consiglio converga sulle posizioni (degne del massimo rispetto) di FdI; se non erriamo, si tratta di idee diametralmente diverse, perché il primo, auspicando l’introduzione del principio di maggioranza, intende rafforzare l’UE, mentre il proposito di sostituirla con una confederazione va nella direzione opposta.
Nella politica esistono degli interessi e l’interesse delle minoranze non può che andare nella direzione della pace e della democrazia, garantite con successo dall’Unione Europea, in un continente già dilaniato da guerre e genocidi. Chi ci garantisce che la pace sia eterna? Su questa terra, di eterno non vi è nulla e se si opta per congegni che consentano una pacifica convivenza in Europa non è per passione politica bensì perché si impara dalle (orribili) lezioni del passato. La libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone, prevista dal diritto dell’UE, rende pressoché obsoleta l’espansione territoriale (il c.d. lebensraum), prevista dai tedeschi nel 1937 col Memorandum Hossbach, per sopperire alle presenti e future crisi economiche. Tutto ciò con una confederazione non sarebbe possibile.
Per la serie “citarsi addosso” (copyright Woody Allen) abbiamo sostenuto che “poiché il diritto non può essere scisso dal suo contesto sociale, economico e politico, dobbiamo ricordare come il terzo millennio sia iniziato all’insegna di un certo entusiasmo per la globalizzazione e quindi per gli strumenti sovranazionali, entusiasmo poi venuto meno prima con la crisi del 2008 dei c.d. junk bonds, e successivamente dalle diverse spinte riconducibili in qualche modo alle rivendicazioni nazionali e talvolta al c.d. sovranismo. Da ultimo, la crisi ucraina ha messo in rilievo, ancora, la necessità di coesione europea, alla luce della debolezza dei singoli Stati al cospetto delle sfide asiatiche ed euroasiatiche. Tutto ciò non toglie che, così come i singoli Stati mutano pelle, perché senza adeguamento si rischia l’obsolescenza e/o le crisi, anche gli organismi sovranazionali come l’Unione Europea non potranno che mutare per adeguarsi alle esigenze cangianti, perché nulla è immutabile. Ciò posto, la costruzione europea – quale che possa essere la sua forma futura – esercita un grande fascino al suo esterno e gode di un notevole prestigio. Quanto all’Italia, il suo contributo normativo alla costruzione dei nuovi modelli non è sempre all’altezza di quanto il suo importante ceto giuridico possa apportare” (Emanuele Calò – Davide Rossi, Il regime patrimoniale della famiglia nel diritto internazionale privato dell’Unione Europea, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2022).
Se si è insoddisfatti dell’Unione Europea, basta parteciparvi con maggiore impegno, onde rafforzarla adeguandola ai tempi, altrimenti rischiamo l’irrilevanza. Per esperienza personale, il patriottismo consiste nel lavorare nelle istituzioni europee portando in alto col proprio impegno la bandiera dell’Italia, affinché il nostro Paese sia ammirato, considerato e, soprattutto, rispettato. Non esistono scorciatoie.

Emanuele Calò, giurista

(10 maggio 2022)