Ben Horin, il Dialogo da protagonista
“Avevo avuto da un membro della direzione del mio ministero il consiglio di non occuparmi di questioni teologiche nel mio lavoro e di astenermi dal dialogo ebraico-cristiano, che era di competenza della comunità ebraica locale. Ma non avevo alcuna intenzione di seguire questo consiglio, e ciò per la buona ragione che, prima di essere israeliano, sono ebreo”.
È quanto confidava Nathan Ben Horin (1921-2017), il diplomatico israeliano che nelle vesti di ministro plenipotenziario dell’ambasciata in Italia per i rapporti con la Santa Sede svolse un ruolo di assoluta centralità nello sviluppo di un nuovo orizzonte di confronto e relazioni in un momento storico (si era all’inizio degli Anni Ottanta) in cui il Vaticano non aveva ancora contatti ufficiali con lo Stato ebraico. La svolta sarebbe arrivata nel 1994, con l’attesa “normalizzazione” sapientemente preparata, tra gli altri, proprio da Ben Horin. Un primo traguardo preceduto da una storia faticosa e complessa, ripercorsa nelle sue tappe più significative nel libro che ne porta la firma, pubblicato nel 2019 dall’editore Panozzo: “Le relazioni tra Israele e Santa Sede, 1904-2005”.
I suoi temi salienti sono stati esposti ed elaborati al Museo ebraico di Bologna nel corso di una serata che ha visto intervenire Pier Francesco Fumagalli, dottore all’Ambrosiana e presidente dell’Associazione Italia Israele di Milano; David Meghnagi, presidente del Comitato accademico europeo per la lotta all’antisemitismo e docente all’Università Roma Tre; rav Alberto Sermoneta, rabbino capo della città; Matteo Maria Zuppi, che ne è invece l’arcivescovo. A condurre l’incontro Adele Valeria Messina della Fondazione per le Scienze Religiose di Bologna.
Ben Horin, nel suo testo, dipana il rotolo della Storia dall’infruttuoso colloquio del 1904 tra Theodor Herzl e un papa (Pio X) sordo e indifferente alle richieste del leader sionista. Un’opposizione sia teologica che politica che solo il tempo e la perseveranza di figure come quella di questo abile diplomatico avrebbero permesso di correggere e portare su binari assai più promettenti rispetto al passato anche recente. “Un libro scritto col sangue” l’immagine suggerita da Meghnagi, a indicare come gran parte di quel che Ben Horin ha riportato “lo abbia vissuto in prima persona”. Incontri dietro le quinte e incontri aperti al mondo. Come la prima visita di un papa in sinagoga, evocata dal rav Sermoneta nel tratteggiare “l’amicizia e il sentire comune di personalità come Karol Wojtyla e rav Elio Toaff”.