Nazionalismo e nazismo
Le reiterate accuse di nazismo rivolte da Putin e da tutta la propaganda russa non solo contro il Battaglione Azov ma anche a Zelenski, al gruppo dirigente ucraino e più in generale all’intera popolazione ucraina non possono essere ignorate come semplice propaganda di guerra, anche se questo aspetto è quello oggi prevalente. Bisogna chiedersi se nella storia e nella cultura ucraina c’è qualcosa che in qualche modo possa giustificare quell’accusa.
Per comprendere l’atteggiamento dello spirito ucraino verso la Russia bisogna riandare al tempo della guerra civile che seguì la presa del potere da parte dei bolscevichi russi nel 1917 e più in generale prendere in considerazione ciò che accadde nell’intera area baltica, con la conquista dell’indipendenza da parte della Lituania, della Lettonia e dell’Estonia. Conquista dell’indipendenza che invece non riuscì all’Ucraina, nonostante che forti movimenti nazionalisti di varia ispirazione avessero combattuto a lungo contro l’Armata Rossa per raggiungere quell’obiettivo.
Il ventennio tra le due guerre mondiali fu caratterizzato nei Paesi baltici da forti tensioni inter-nazionaliste, che in parte coinvolsero anche la Polonia, mentre in Ucraina si consolidò il potere sovietico al prezzo di una delle più spaventose tragedie della storia, il cosiddetto Holomodor, la terribile carestia nata dalla collettivizzazione della terra e dalla lotta scatenata da Stalin contri kulaki, i cosiddetti contadini ricchi, che spesso erano tali perché possedevano qualche capo di bestiame. Gli storici calcolano che negli anni della carestia morirono di fame e di stenti circa tre milioni di persone.
Il quadro politico dell’area baltico-ucraina cambiò radicalmente prima con il Patto Ribbentrop – Molotov e poi con l’attacco tedesco all’Unione Sovietica. In virtù del patto Ribbentrop-Molotov l’URSS annetté non solo la parte orientale della Polonia ma anche, per intero, i tre Paesi baltici (Lituania, Lettonia e Estonia) che persero la loro indipendenza dopo averla ottenuta da poco più di venti anni. Con lo scoppio della II guerra mondiale l’esercito tedesco conquistò l’intera Ucraina e oltre.
E’ qui che si trova il nodo che è riemerso ai nostri tempi: in odio alla comunistizzazione e al tempo stesso alla russificazione, le popolazioni sia baltiche che ucraine videro nelle truppe tedesche i liberatori dall’oppressione sovietica, li accolsero come tali e collaborarono con esse fino a quando, con la controffensiva sovietica, la situazione cambiò nuovamente. Certamente non era l’antisemitismo nazista che poteva costituire un ostacolo all’accoglienza favorevole fatta da quelle popolazioni all’esercito tedesco: L’antisemitismo era di casa in quelle regioni e, anche se le motivazioni non erano le stesse del dottrinarismo nazista, tuttavia, in quella terra di pogrom, fu facile trovare, almeno su quel terreno, un’intesa.
Dopo quasi quattro anni di occupazione tedesca il contrattacco sovietico riportò quelle terre sotto il controllo dell’URSS ma non eliminò le cause del malcontento verso il regime comunista russo. Anzi, i russi procedettero sia nei Paesi baltici che in Ucraina a una russificazione forzata spostando in quelle aree masse compatte di popolazione russa. e non fu un caso che le prime rivolte contro il regime sovietico scoppiarono in Lettonia con le barricate di Riga. Al censimento del 1989 i russi costituivano ben il 33,8% dell’intera popolazione della Lettonia, oltre al 4,5% di bielorussi e il 3,4 di ucraini, mentre i lettoni erano solo il 51,85. Non solo, ma al momento del recupero dell’indipendenza il 21 agosto 1991, ai russi non furono riconosciuti i diritti politici, che recuperarono solo nel 1995. Tali diritti erano riconosciuti soltanto a coloro che erano cittadini lettoni nel 1920 e ai loro discendenti. Nel 2020 i lettoni erano risaliti al 62,7 % mentre i russi erano scesi al 24,5%.
Lo spirito antirusso – che conteneva in sé anche una spinta anticomunista – covò a lungo sotto le ceneri finché, giunto al potere Gorbaciov e allentatisi il controllo e la repressione, esso esplose ritrovando nelle vicende degli anni ‘20, ‘30, e ’40 del ‘900 i riferimenti storici necessari per consolidare una nuova identità e per ritrovare quella perduta. Si spiegano così i riferimenti alla simbologia nazista – per noi ovviamente inaccettabili – che caratterizzano alcuni reparti ucraini come il Battaglione Azov. Più che di un’adesione all’ideologia nazista si tratta di un recupero simbolico in funzione antirussa che naturalmente si presta a strumentalizzazioni da entrambe le parti ma che non può fuorviare dalla vera natura del conflitto che vede nella Russia putiniana l’aggressore, mentre inevitabilmente da parte dell’aggredito si rafforzano forme di nazionalismo.
Valentino Baldacci