Il confine Ucraina
«Le atrocità sollevano un’indignazione minore, quanto più le vittime sono dissimili dai normali lettori, quanto più sono “more”, “sudice”, “dago”» scrisse Theodor W. Adorno in Minima Moralia.
Pur differente il contesto – Adorno scriveva nel 1945 qui in riferimento soprattutto all’antisemitismo nazista e al razzismo coloniale – più volte in questi mesi ho ripensato queste parole. Tornarono in mente già a fine febbraio all’inizio dell’aggressione russa quando molti cittadini est-europei si riscoprirono più solidali nei confronti dei profughi ucraini rispetto ai profughi dei mesi precedenti provenienti dalla Siria e dall’Afghanistan. In contemporanea la pagina Facebook di un celebre politico notoriamente anti-immigrazione sembrava essersi trasformata in una di quelle da lui detestate ONG con inviti all’accoglienza verso i “veri profughi”. Dappertutto comuni cittadini offrivano poi la propria disponibilità per ospitare in casa propria persone in fuga dalla guerra ucraina. Nel vedere alla TV famiglie come le nostre che lasciavano le proprie case con bambini, trolley, e animali domestici al seguito probabilmente il pubblico avvertiva una partecipazione e un timore maggiore, come dire “potrebbe accadere anche a noi, proprio qui”. Una disposizione d’animo diversa da quando si affollavano invece sugli stessi schermi profughi asiatici e africani con altri abiti, mezzi e sembianze lontane da quelli che normalmente vediamo e siamo abituati nel quotidiano.
Ma poi col passare dei mesi sembra che anche nel cittadino europeo sia prevalsa una qualche abitudine nei confronti della guerra in Ucraina. Soprattutto da quando la guerra ha lasciato più o meno Kiev, la quale ad occhio non è dissimile da una qualunque città centro-europea, e si è concentrata nel Donbass dove in fondo il conflitto era già presente da vari anni.
Pare che esistano dunque luoghi dove nella percezione comune la guerra sia in qualche modo “contemplata”, è apparentemente quotidiana, e quindi suscita scarso effetto. Una sorta di “dar al-harb” – dimora o area della guerra – per riprendere un termine pluri-interpretato del diritto islamico.
Ma la domanda è anche se il diverso metro di giudizio e la stessa minore indignazione valga pure nei confronti dei carnefici e delle loro barbarie. Se queste in determinati conflitti siano più “spiegabili” e meno gravi. Probabilmente le stragi di civili commesse dai militari russi avrebbero provocato certo una protesta maggiore nel caso fossero state commesse da olandesi o statunitensi, specie da parte di una presunta sinistra considerata “campista”. Per esempio lo scorso marzo la senatrice pentastellata Bianca Laura Granato, già no-green pass, affermò in un’intervista che Putin “non è un dittatore, anche se il suo è un modo diverso di governare.” Quindi anche il concetto di “dittatura” e “dittatore” per alcuni può essere relativizzato.
L’Ucraina agli occhi dei più rappresenta – come in fondo ricorda una delle sue etimologie – il confine tra un mondo dove la guerra, le invasioni, e la dittatura sarebbero da secoli all’ordine del giorno, e un mondo-rifugio nel quale la guerra non può più in nessun modo entrare. Dove però all’interno dello sconfinato paese passano esattamente gli steccati invalicabili di questa frontiera non è ancora ben chiaro.
Francesco Moises Bassano