Le insidie della carne
Quest’anno per la prima volta al seder di Pesach a casa dei miei genitori abbiamo servito come secondo il carpaccio di tonno, in contrasto con le tradizioni della famiglia secondo le quali di Shabbat e nelle feste (a parte naturalmente Shavuot) il piatto forte deve essere rigorosamente di carne. Questa rottura con il passato proprio nell’anno del quasi ritorno alla normalità non era dovuta a una scelta ideologica, né a un cambio di gusti, né a un bisogno di originalità: il fatto è che la carne era arrivata – dopo essere stata sospirata e attesa a lungo, tra consegne mancate, telefonate e promesse in stile Aspettando Godot (“non arriva oggi ma arriverà sicuramente domani!”) – solo poche ore prima dell’inizio del seder, troppo poche per non costringerci a elaborare un piano B. Questa è la situazione di molti di noi chi vivono nelle piccole e medie Comunità: bisogna decidere quanta e quale carne si avrà voglia di mangiare tra un mese, organizzarsi per l’ordine e il ritiro di spedizioni che non sempre arrivano alla data stabilita, e spesso quello che arriva non corrisponde a quello che era stato ordinato. Certo, ci sono vari modi per procurarsi la carne kasher, e comunque per fortuna esistono anche i pesci. Insomma, riconosco che a questo mondo ci sono sicuramente problemi ben più gravi. Ma se mentre ci si affatica per procurasi cibo kasher capita di leggere o sentir dire (perché c’è chi lo dice e lo scrive) che l’ebraismo vero in Italia esiste solo a Roma e a Milano perché gli ebrei delle altre Comunità sono tutti assimilati e non mangiano kasher, onestamente è molto difficile non sentirsi presi in giro.
Anna Segre