Polonia, diritti e contraddizioni

Non si può negare che questi ultimi anni siano storicamente fondamentali per la Polonia. In pochi altri paesi della Comunità europea si può sentire così forte il passaggio conflittuale da un mondo vecchio e patriarcale ad una società libera e aperta, conflitto che ha raggiunto il suo apice e si è manifestato brutalmente nell’invasione putiniana della vicina Ucraina.
Con entusiasmo mi sono unita ai movimenti femministi che da tempo protestano contro l’attuale governo e le sue politiche nazionaliste/conservatrici/reazionarie/misogine. Il 13 dicembre 2020, con la mia amica da più di vent’anni, Dominika Baranowska, abbiamo raggiunto un grande corteo di protesta, con fermata finale davanti casa di Jaroslaw Kaczynski, il leader del partito Legge e Giustizia.
Ci vorrebbero trattati interi per descrivere le follie manifestate dal programma politico di Kaczynski. I punti fondamentali nel 2020 erano la negazione del diritto all’aborto e l’allontanamento della Polonia dall’Unione europea. Le repressioni della polizia in quei giorni erano particolarmente forti: arresti sommari, braccia rotte, interrogatori lunghi e inutili.
Dopo un paio di ore di canti, balli e goliardate da manifestazione (io avevo raccolto per strada una enorme saetta rossa in cartone, simbolo del movimento femminile Strajk Kobiet Sciopero delle Donne e la dimenavo a destra e manca), abbiamo deciso che era ora di tornare a casa. Per strada ci siamo fermate in una drogheria e non appena uscite dal negozio già distante dalla manifestazione, siamo state avvicinate da una camionetta della polizia e circondate da sei funzionari con volti e numeri identificativi invisibili. Siamo state subito minacciate di multe per essere – e questa parola non me le dimenticherò mai – marchiate dai simboli della protesta a loro dire illegale: avevamo con noi saette rosse e manifesti. Ho fatto in tempo ad accendere il telefono e far partire la diretta sui social media, così tutti hanno potuto vedere come al nostro rifiuto di presentare i documenti siamo state sbattute dentro la camionetta e portate in commissariato. Mentre venivamo strattonate dai poliziotti, sono accorsi dei giornalisti che hanno fatto in tempo a registrarci. La mia amica spintonata dai funzionari mentre in mano teneva un grande pacco di carta igienica appena acquistato. Il video è diventato subito virale in un paese come la Polonia che adora le situazioni tragicomiche e anarcoidi tra cittadini e apparato statale. Arrivate in commissariato abbiamo presentato i documenti, per evitare l’arresto di 24 ore e i controlli personali che ancora oggi comportano l’essere denudate e toccate nelle parti intime davanti ai funzionari. Non appena rilasciate, ci siamo messe in contatto con il collettivo Szpila (traduzione Spillo) che ci ha contattate con gli avvocati pro-bono, ai quali ci siamo rivolte per denunciare l’assurdo fermo e trasporto in commissariato.
Per farla breve, abbiamo vinto in due mesi la causa intentata contro la polizia, i giudici di ogni stanza hanno deciso che il fermo non aveva avuto nessun senso logico e che la polizia non aveva agito secondo le procedure. I giudici hanno anche stabilito dei compensi simbolici che la controparte ancora oggi cerca di bloccare, ma al momento hanno perso anche l’appello per gli indennizzi. Che sia chiaro, ci sono centinaia di cause simili nei tribunali polacchi degli anni 2020-21, la stragrande maggioranza di queste sono giudicate a favore dei cittadini.
Nel frattempo, il governo polacco sta cercando di ripulirsi l’immagine facendo dichiarazioni plateali a favore dell’Ucraina. E le loro azioni finiscono ad affermazioni e tappe fotografiche, più o meno. Dall’invasione russa del 24 febbraio, sono i cittadini polacchi ad essersi mossi in gran numero per aiutare i profughi e sostenere la resistenza dei vicini all’invasore. Un caso esemplare del quale sono testimone, un ragazzo di nome Filip che ha staccato da lavoro alle 17 a Varsavia, per accompagnare da casa mia nella zona dei laghi in Masuria nonna, madre e bambino profughi, a circa tre ore di viaggio verso nord-est. Da lì avrebbe proseguito con un gruppo di amici per portare delle ambulanze in Ucraina, a sud-est, nella notte.
Bisogna dire che ai passaggi di frontiera con l’Ucraina alcuni poliziotti cercano di fare del loro meglio, avendo finalmente la possibilità di mostrarsi dal lato migliore. Non si può dire la stessa cosa di quei funzionari che invece respingono profughi in arrivo dal Medio Oriente e dall’Asia Centrale attraverso la Bielorussia. Da mesi famiglie intere vengono lasciate morire di fame e freddo nei boschi, in nome di una politica di respingimento voluta dal governo polacco che sta innalzando anche un bel muro nelle foreste al momento. I gruppi di cittadini privati che forniscono cibo alla frontiera ucraina sono gli stessi che dall’estate scorsa spediscono viveri nei boschi al confine con la Bielorussia. Per loro ho avuto il privilegio di fare da autista ed essere così di nuovo fermata dalla polizia a pochi chilometri dal passaggio di frontiera ucraino di Hrebenne. Con la scusa di eccesso di velocità (67 km/h) mi è stata fatta una bella ramanzina su come noi cittadini naif ed entusiasti rischiamo di uccidere la gente pur di portare aiuti a “quelli là”, agli ucraini nota bene. Per venti minuti mi è stato spiegato che abbiamo perso la testa, non vediamo l’ora di aiutarli mentre loro mica ci pagano le multe della stradale, che qui in Polonia mica li sta ammazzando nessuno e quindi perché correre così tanto. La nota finale ha coronato la già brutta sensazione che avevo avuto passando quel giorno dai villaggi ebraici in parte abbandonati e davanti al campo di sterminio di Bełżec, quando il poliziotto mi ha detto: “Lei non è mica polacca, si vede, ci faccia vedere un po’ i documenti”. Passano i brividi sulla schiena in queste terre martoriate dalla storia.
Io forse non avrò fortuna con la polizia polacca, ma nella Polonia di oggi la società civile è viva e vegeta.

Anastazja Buttitta, Pagine Ebraiche Maggio 2022