Coltivare l’educazione,
ridurre le tensioni

La prima parte della recente indagine di JDC sull’Europa ebraica ha riguardato i temi ritenuti più decisivi pensando al futuro dell’ebraismo europeo e delle comunità. Tra gli aspetti che mostrano maggiore stabilità, spiega la sociologa del Cdec Betti Guetta – che ha coordinato il progetto -, “c’è la preoccupazione per le questioni relative alla continuità e alla sostenibilità delle comunità ebraiche rispetto a una adesione proattiva e volontaria”. Ciò include, tra le altre cose, “la necessità di rafforzare l’educazione ebraica, la necessità di sviluppare politiche di sensibilizzazione verso i non affiliati e la necessità di investire nello sviluppo della leadership includendo negli organi decisionali – cosa importante – le giovani generazioni”. Le priorità espresse dai dirigenti italiani sono analoghe a quelle del campione complessivo ma con alcune significative differenze; nelle prime posizioni, sottolinea Guetta, “i nostri leader sottolineano aspetti che evidenziano da un lato la percezione della debolezza degli organi educativi e dall’altra la complessità e la conflittualità degli organismi comunitari”.
Alcuni dati a confronto: rafforzare l’educazione ebraica (9.1 vs. 8.7); ridurre le tensioni e le divisioni nella comunità (8,6 contro 8,1); incoraggiare il pluralismo interno (8.2); sviluppare una politica efficace in materia di matrimoni misti (8.1). Interessante osservare, fa notare ancora Guetta, che i leader italiani ritengano secondario rispetto ai loro colleghi europei il fatto di svolgere una funzione “da gruppo di pressione nella politica nazionale” (5,7 contro il 6,8 complessivo). Questa scarsa partecipazione, secondo la sociologa, “può riflettere un minore interesse rispetto alla collettività nazionale o la consapevolezza delle maggiori fatiche e complessità del lavoro di lobbying”. Ma può anche evidenziare “una attitudine a pensare che i problemi degli ebrei riguardino gli ebrei”.
Per la prima volta dall’inizio dell’indagine nel 2008, combattere l’antisemitismo è in cima alle priorità europee. Si fa anche notare che è cresciuta la risposta “sviluppare politiche creative di sensibilizzazione verso i non affiliati”, passando dalla settima posizione nel 2018 alla quinta nel 2021. Il problema degli “ebrei lontani” e della necessità di lavorare per recuperare la distanza è, quindi, sempre più sentito. Una comunità fatta “da pochi iscritti, fedeli e anagraficamente maturi” crea infatti preoccupazione e inquietudine.
Passando all’Italia, secondo Guetta le risposte relative alle priorità indicate dai dirigenti comunitari “riflettono la percezione delle minacce al futuro della vita ebraica che le loro comunità devono affrontare”.
A tal proposito la preoccupazione per l’aumento dell’antisemitismo come minaccia per il futuro è un rischio sentito un po’ meno dagli italiani che hanno posto la lotta all’antisemitismo al terzo posto della graduatoria, con un punteggio di 8,7. Questa minaccia “esterna” è seguita da una serie di preoccupanti questioni interne “che per l’Italia risultano molto più frequenti che nel resto dell’Europa”. E cioè alienazione degli ebrei dalla vita della comunità ebraica (90% vs 70%); ignoranza/ calo delle conoscenze sull’ebraismo (77% vs 66%); mancanza di rinnovamento delle organizzazioni ebraiche (71% vs 69%); mancanza di impegno da parte dei membri negli affari o nelle attività della comunità (68%). Il 90% del campione italiano, quindi, ritiene l’alienazione dalla vita della comunità ebraica una delle principali minacce, rispetto al 70% degli intervistati nel complesso.
Altrettanto importanti e urgenti sono poi, tra le varie voci, il declino demografico (88% contro il 61% complessivo) e la mancanza di una leadership efficace (82% contro 60%).
A guardare queste risposte la posizione delle comunità italiane “emerge come molto critica, sia per il ridotto numero degli iscritti che per la debolezza culturale e politica che le istituzioni sembrano esprimere agli occhi della loro stessa dirigenza”.
Nove intervistati su 10 mettono al primo posto il problema dell’allontanamento dalla vita comunitaria, il che nel concreto “significa mancanza di partecipazione, non frequentazione delle sinagoghe, dei centri di aggregazione, delle scuole della comunità”. Un allontanamento dovuto a disinteresse o a delusione, oppure a contrasti. Anche la critica alla leadership, in questo senso, “dice qualcosa sulla incapacità di impegno e di ascolto dei dirigenti (laici o religiosi) nei confronti della propria utenza”.
Sicuramente, aggiunge Guetta, anche le questioni riguardanti le politiche nei confronti delle famiglie formate da matrimoni misti “sono motivi di crisi e distanziamento”. Su questo tema molti intervistati si dicono “consapevoli della necessità di includere le famiglie miste nella vita delle comunità ebraiche, così come del bisogno di spazi e programmi per integrare queste famiglie nelle comunità”.

Dossier Ebrei d’Europa, Pagine Ebraiche Maggio 2022