Israele, governo di minoranza
Nuovo terremoto politico in Israele, dove la coalizione di governo ha perso un altro pezzo e ora è in minoranza in parlamento (59 seggi su 120 totali). A dare le dimissioni è stata Ghaida Rinawie Zoabi, eletta con la sinistra di Meretz. Nel motivare la sua uscita di scena, ha dichiarato che l’attuale governo è troppo spostato a destra e che i ministri di quest’area “hanno scelto posizioni oltranziste ed estremiste”. “Il mese del Ramadan – le parole di Rinawie Zoabi riprese oggi da Avvenire – è stato insopportabile. Le immagini giunte dalla Spianata delle Moschee di agenti violenti contro un pubblico di fedeli, il funerale della giornalista Shireen Abu Akleh mi hanno indotto a dire basta”. La parlamentare non sembra però intenzionata ad affossare del tutto l’esecutivo, votando a favore dello scioglimento della Knesset, come vorrebbe l’opposizione. “Non faccio più parte del governo, ma potrei sostenerlo dall’esterno” ha detto la parlamentare in serata, lasciando così al governo Bennett una fragile chance di proseguire. Il Corriere ricorda che prima delle dimissioni di Rinawie Zoabi, a lasciare era stata la parlamentare di Yamina Idit Salman. “All’opposto di Zoabi, è passata dall’altra parte perché il governo non sarebbe abbastanza di destra”, scrive il Corriere.
Ucraina. 86esimo giorno dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina. I quotidiani raccontano come nell’acciaieria Azovstal siano rimasti ancora degli irriducibili, tra cui il vice comandante di Azov, che hanno deciso di non dare seguito all’ordine di resa arrivato da Kiev. Dalla capitale il presidente Zelensky parla intanto di quanto accade in Donbass: “è l’inferno: non è un’esagerazione”. Le forze russe, ha dichiarato, hanno “completamente distrutto” la regione orientale ucraina. La Stampa segnala come a dare qualche speranza di possibili aperture sia stata la telefonata tra il capo di Stato Maggiore delle forze armate americane, Mark Milley, e il comandante dell’armata russa, Valery Gerasimov. Sulla necessità di “far ripartire i negoziati” è intervenuto in parlamento il Presidente del Consiglio Mario Draghi, ribadendo il sostegno all’ucraina. Per la ministra degli Esteri britannica Liz Truss, intervistata dal Corriere, Londra ha un obiettivo: “Vogliamo vedere la Russia lasciare tutti i territori che ha invaso”. “Putin – aggiunge – deve perdere in Ucraina e dobbiamo vedere restaurata la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina”.
“Putin il lupo e i porcellini”. Questo è il titolo con cui Furio Colombo torna su Repubblica dopo quasi tredici anni al Fatto Quotidiano, di cui è stato uno dei fondatori. Colombo aveva criticato la scelta del giornale diretto da Marco Travaglio di dare spazio alla linea filorussa di personaggi come Alessandro Orsini e Massimo Fini. Su Micromega, aveva spiegato come un suo articolo “particolarmente critico sulla questione” previsto per domenica 8 maggio era stato censurato. “Quell’articolo, con le critiche rivolte ad Alessandro Orsini e Massimo Fini, non è stato pubblicato. Non era mai accaduto. Non solo non è stato pubblicato, ma contemporaneamente il quotidiano che avevo contribuito a fondare tredici anni fa ha preparato una grande festa di ‘incoronazione’ per il nuovo personaggio della politica italiana, il professore Orsini, appunto”. Oggi, dopo aver lasciato il Fatto, su Repubblica Colombo scrive di Putin e di come alla sua retorica in Italia ci sia chi presta orecchi. Secondo il giornalista al presidente russo, con l’aggressione ucraina, son riuscite due cose: “far credere a molti che tutto è accaduto in Ucraina per colpa e responsabilità degli Stati Uniti e di una banda di malfattori e tagliagole noti come la Nato che hanno provocato la brava gente di Mosca. E che solo mettendo fuori gioco l’America e la banda Nato, il mondo filorusso scortato da una folla di bravi simpatizzanti(un bel po’ italiani, ma guai a dirglielo) ritroverà un rassicurante equilibrio”.
Memoriale e influencer. “L’influencer ha un impatto sulla società e su gruppi di persone ben precisi. II fatto di riceverla qui sicuramente ci aiuterebbe moltissimo”. Così Roberto Jarach, presidente della Fondazione Memoriale della Shoah di Milano, intervistato sulle pagine locali del Corriere in merito alla proposta, lanciata dalla senatrice Liliana Segre, di far visitare all’influencer Chiara Ferragni il Memoriale. Per il momento, spiega Jarach, Ferragni è impegnata in un altro progetto e “fino a lunedì non avremo una risposta”. In ogni caso il presidente del Memoriale sottolinea come una sua presenza aiuterebbe a dare ulteriore visibilità al luogo della Memoria Milanese. Rispetto al numero delle visite, Jarach spiega che il Memoriale ha raggiunto numeri soddisfacenti sul fronte delle scuole, con un trend in crescita di anno in anno. “Sui visitatori in generale, invece, possiamo e dobbiamo fare di più”, afferma. Su Domani lo storico Daniele Susini valuta positivamente l’idea di coinvolgere figure come Ferragni su temi complessi come la Memoria, ma devono rappresentare solo un primo step. “Narrativa di qualità e messaggi social di qualità possono essere quei fuochi d’artificio che permettono d’attrarre nuove utenze, – scrive Susini – ma allo stesso tempo dobbiamo poi garantire la continuità di questi percorsi perché quei fuochi effimeri si trasformino in falò perenni”.
Al Verano. “E questo sarebbe un cimitero? Tombe devastate e rottami nell’area ebraica del Verano”. Così titola il Corriere Roma parlando della situazione del cimitero della capitale e soffermandosi in particolare sull’area ebraica, danneggiata anche dalla caduta di alberi. Al quotidiano la Comunità fa sapere che “siamo stati rassicurati dalla nuova amministrazione che dopo la rimozione degli alberi si procederà con l’intervento sulle tombe. L’auspicio è che ciò avvenga in tempi brevi”.
Segnalibro. Un papa in guerra. La storia segreta di Mussolini, Hitler e Pio XII, edito da Garzanti, è il nuovo libro dello storico americano David Kertzer che da giovedì 26 maggio sarà in distribuzione in Italia, come aveva raccontato in anteprima a Pagine Ebraiche. Intervistato dal Venerdì di Repubblica, spiega che lavorando alle carte degli archivi vaticani, sono emersi documenti in cui si dà conto della decisione di papa Pacelli (Pio XII) di chiedere, tramite un emissario, “a Hitler di fermare la politica di aggressione contro la Chiesa cattolica in Germania. E, in cambio della pace religiosa, l’emissario di Hitler pone due condizioni: il non pronunciamento del Papa sulla questione razziale e la non ingerenza del clero tedesco sulla politica interna del Terzo Reich”. “In sostanza, lei sostiene che il Papa barattò il suo silenzio sulla ferocia nazista in cambio della sospensione delle ostilità contro la Chiesa?”, chiede la giornalista Simonetta Fiori a Kertzer. “Voleva difendere la sua Chiesa ed evitare spaccature nel mondo cattolico tedesco. – spiega lo storico – Il silenzio di Pacelli colpì la sensibilità pubblica europea fin dai primi giorni della guerra, dopo l’invasione tedesca della Polonia. Secondo la mitografia apologetica, le polemiche sarebbero cominciate negli anni Sessanta, quando uscì il celebre libro di denuncia Il vicario di Rolf Hochhuth. E una sciocchezza: lo scandalo per l’assordante silenzio di Pio XII fu immediato”.
Sul Foglio invece si parla dell’ultimo saggio dello storico Claudio Vercelli: Israele: Una storia in 10 quadri, uscito per Laterza. Nel volume, sottolinea spiega il Foglio, “Vercelli condensa l’insieme delle controversie – storiche, religiose, politiche, semantiche – che ruotano intorno al sionismo, con le tante sfaccettature relative all’origine, allo sviluppo e alla vita dello stato di Israele”.
Daniel Reichel