Unione europea

“Noi ci definiamo come gente di confine. Come tali, noi non possiamo che vedere un’unica soluzione per il futuro. E questa è la soluzione: rendere questi confini sempre più permeabili, come dire, sempre più inesistenti. Noi rispettiamo gli stati nei quali abitiamo, nei quali risediamo, però d’altro canto vorremmo che questi stati facessero parte tutti di una famiglia europea nella quale è facile comunicare, è facile viaggiare, è facile commerciare e scambiarsi le idee e confrontare le culture”. Chi parla è Claudio Radin, un italo-istriano che non ha mai lasciato la natia Pola, intervistato all’interno del libro “Istria dei Miracoli” del giornalista Stefano Tomassini. Era il 2001 e la Slovenia e la Croazia non erano ancora entrate nell’Unione Europea. Sarebbe interessante a distanza di ventuno anni comprendere se le speranze di molti italo-istriani i quali vedevano l’Unione Europea come un’occasione di rinascita per le proprie comunità siano state o meno tradite. Però anche osservando anche la situazione in Ucraina è certo che l’Unione Europea resta ancora lo stesso sogno per molti, soprattutto per quei popoli che abitano in stati che non ne fanno parte. Essere e sentirsi parte di una comunità europea dovrebbe proprio tenerci lontano da ogni sciovinismo ed evitare così di guerreggiare con i vicini o di discriminare le proprie minoranze interne. Purtroppo non sempre è così, e specie al suo interno v’è chi l’Europa la vorrebbe ancora disunita se non distrutta del tutto. Contemporaneamente l’Unione Europea non è riuscita ad essere pienamente, e a farsi percepire davvero come, una comunità o federazione di nazioni e popoli. Forse il segreto dovrebbe essere proprio quello di sentirsi un po’ tutti “gente di confine” perché in fondo lo siamo davvero, lo siamo sempre stati. Nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo soprattutto.

Francesco Moises Bassano