Verso Yom Yerushalaim
Udi, papà Elyada e quella promessa:
“Saremo i primi a rientrare”

C’è un giorno che ha un significato più speciale di altri nella vita di Udi Merioz, artista israeliano le cui opere sono state esposte alla Casa Bianca e nelle residenze di vari Primi ministri d’Israele. È Yom Yerushalaim, la data in cui si celebra la riunificazione di Gerusalemme avvenuta in occasione della Guerra dei Sei Giorni. Udi, che aveva allora nove anni, fu infatti il primo bambino ebreo ad entrare e risiedere nella Città Vecchia appena conquistata dopo 19 anni di autorità giordana che avevano fatto del quartiere ebraico, cacciati i suoi abitanti nel ’48, un cumulo di macerie e degrado.
“Un’emozione che non dimenticherò mai” racconta accogliendo Pagine Ebraiche nella sua galleria nell’area del cardo, una delle più affascinanti di tutta la Città Vecchia. “La mia vita ruota attorno a questo luogo: è la mia seconda casa, una sorta di salotto sempre aperto dove mi piace accogliere le persone più eterogenee che si possano immaginare e conversare con loro del più e del meno. Talvolta ascolto, talvolta racconto io”, spiega Merioz. Di storie da esporre ne ha d’altronde un campionario vasto e in costante evoluzione. Con naturalezza parla dei suoi incontri con personaggi mitici del Novecento come Golda Meir e Marc Chagall, senza tralasciare di citare qualche aneddoto anche su Leonard Bernstein. Ma “non faccio differenza, non distinguo in base alla celebrità delle persone che mi trovo di fronte” precisa Udi. “Ciascun individuo ha la sua storia, il suo percorso: a me piace ascoltare tutti; anche perché è dalle persone cosiddette ‘normali’ che talvolta scaturiscono le rivelazioni più interessanti”. Rivelazioni che, per l’artista, “hanno tutto il potenziale di scaldare il nostro cuore”.
Come la storia di Udi. Suo padre Elyada, all’indomani del ’48, aveva fatto a se stesso una promessa. Quella, si commuove il figlio, “di essere il primo ebreo a vivere in Città Vecchia una volta che le condizioni lo avessero reso possibile”. Promessa onorata appena un istante dopo la fine di quel nuovo e decisivo conflitto per le sorti di Israele. “Io – spiega Udi – all’epoca mi trovavo a Petah Tikva, dove sono nato, in compagnia di mia madre. Lo raggiunsi a Gerusalemme prendendo un autobus. Ero un bambino ed ero solo: una grande avventura stava avendo inizio. Ci incontrammo alla porta di Damasco”.
Fu l’inizio di un’altra avventura, ancora più importante. “Ancora non avevo piena consapevolezza di quello che era appena avvenuto. Più grande, per intendersi, fu lo shock di non ritrovare più mia madre accanto. Almeno all’inizio. Poi gradualmente – sottolinea – iniziai a capire la portata storica dell’evento di cui pure mio padre era stato protagonista”.
Dal cassetto estrae un album di vecchie foto. Si vedono la loro casa di fortuna e lo sfondo di un quartiere in rovina che sarebbe stato presto rinnovato in quasi ogni sua componente. “A quel tempo mancava davvero tutto. Per capirsi, non c’erano né acqua né elettricità”. Lacune e disagi anche piuttosto significativi “cui sopperivamo con l’entusiasmo e la voglia di rimboccarci le maniche”.
Udi avrebbe accompagnato il padre anche in molte sue ricognizioni in Città Vecchia, confrontandosi con le tante anime e complessità del mosaico Gerusalemme: “Mi portava con sé ben volentieri. Non aveva paura di nessuno e a tutti portava rispetto. Una grande lezione che ho cercato di fare mia. Ho molti amici arabi. Abbiamo un patto, una regola d’oro: non si parla di politica”.

Adam Smulevich

(25 maggio 2022)