Machshevet Israel
Freud e Bluher
(Ri)parliamo di Freud, ovviamente, e del ruolo centrale che le sue teorie psicanalitiche assegnano alla libido intesa come impulso sessuale, così centrale che sin dall’inzio ci fu chi parlò apertis verbis di pansessualismo, ritenendolo ‘eccessivo’ e non funzionale alla terapia delle nevrosi. Si può ben dire che il primo scisma guidato dall’ebreo viennese Alfred Adler – apostofato per ciò come apostata, eresiarca e traditore – dentro il movimento psicanalitico, all’epoca quasi tutto composto di medici e psicologi ebrei (eccezion fatta per Jung e Binswanger), sia avvenuto nel nome di questa critica interna (interna sul côtè psicanalitico e sul côtè ebraico) in quanto divergenza teorica, che Freud, nella veste di patriarca-guida e fondatore-custode, percepì come un vera prova di parricidio. L’anno cruciale in cui si consumò quel protoscisma e la rivolta semi-filiale contro gli ‘eccessi di libido’ (soprattutto libido di potere intellettuale) fu il 1912. Centodieci anni dopo, ecco un nuovo tassello dell’immenso epistolario freudiano ci è ‘rivelato’ – si noti il verbo, tra lo psichico e il religioso – e ci dà occasione per rivisitare questo laicissimo ‘conflitto delle interpretazioni’ sull’umana sessualità, conflitto che può evocare le dispute talmudiche e persino offrire qualche una chiave per comprendere alcuni eventi del Novecento.
È un tassello di solo undici missive: lo scambio epistolare avviato da un giovane tedesco non ebreo, Hans Blüher (1888-1955) e bruscamente chiuso dal padre della psicanalisi nell’agosto del ’13. Pur nella sua brevità, può servire da carotaggio del clima e della posta in gioco del sopraddetto conflitto. Non a caso lo scambio ruota sul ruolo della sessualità nell’educazione giovanile del tempo, e che si trattasse di omo-erotismo è un segreto di Pulcinella sul quale scienza e poteri costituiti potevano ben scendere in singolar tenzone. Tali missive sono ora tradotte e pubblicate da Castelvecchi: Sigmund Freud, Hans Blüher, Sull’inversione. Carteggio su omosessualità, eros e politica (1912-1913), a cura e con illuminante introduzione di Gabriele Guerra, tr. dal tedesco di Luca Baruffa e con un saggio di Stefano Franchini. La brusca interruzione del dialogo cartaceo diventa in Freud anche censura e damnatio memoriae, dovuta all’ingenua adesione di Brüher all’ala dissidente degli adleriani e a dispetto della divulgazione che egli compie di molte idee freudiane. Il brillante Franchini ci spiega, ad esempio, l’influenza esercitata dal freudismo in chiave blüheriana su Jirì Georg/Mordechai Langer, “ebreo praghese seguace dei chassidim galiziani di Belz e al contempo di Freud (i cui genitori erano entrambi di origine galiaziana)”, che avrebbe fatto ricorso alle categorie di entrambi gli studiosi per analizzare alcune dinamiche del mondo chassidico (cfr. il suo, a tratti discutibile, Eros nella Cabbalà, LP, Roma 2007).
Dopo quel carteggio – nel quale ciascuno non si mosse dalle proprie posizioni, che l’omosessualità fosse una forma di devianza (Freud) o che omo si nasce e non si diventa per condizioni sociali (Blüher) – più esattamente nel dopoguerra, il giovane tedesco virò verso l’ideologia che stava montando in Germania (“le sue categorie dalla sfera psicologica vengono trasferite alla Storia, ai popoli, alle civiltà, dando luogo a un discorso artefatto, stereotipato, paranoide”). In effetti negli anni Venti e Trenta Blüher abbraccia una visione antisemitica e complottista della storia, di cui anche il suo antico maestro di psicologia analitica diventa un’ingranaggio. Dopo il 1945, altra virata, con recupero e nuovo omaggio al genio freudiano, nel frangente storico in cui Blüher doveva giustificare la propria adesione all’ideologia nazista e in particolare all’antisemitismo; in sua difesa, su questo punto, chiamò in causa il tradizionale antigiudaismo religioso (cristiano) negando di essere stato un vero antisemita in senso nazista. L’ipotesi-chiave di Franchini per l’intera parabola, triste e complessa e solo in apparenza surreale (tra filo e anti-semitismo, tra omo ed eterosessualità, tra vitalismo sociale e statalismo) è da trovarsi nelle sue tesi sessuologiche degli anni Dieci, che tentò di spacciare a Freud e che Freud respinse e censurò, mai più citando lo studioso che lo aveva abbordato nel ’12: l’antisemitismo e le derive paranoiche di Blüher sono l’esito della rimozione della sua omosessualità e dei conflitti sociali che gli aveva provocato, e ciò, nonostante due matrimoni regolari, dall’ultimo dei quali ebbe anche figli. Franchini, nel sollevare il velo su questo breve ma intenso epistolario e su un aspetto psicologico dell’antisemitismo politico e scientifico del Novecento, propone dunque di rivalutare la tesi di Otto Weininger (1880-1903), il giovane ebreo viennese autore di Sesso e carattere, testo di cui Freud aveva scoraggiato la pubblicazione in quanto privo di dati emperici: “Ecco ciò di cui l’ariano deve essere grato all’ebreo; grazie a lui egli sa da cosa deve guardarsi: dall’ebraismo come possibilità in lui stesso”. Sembra che negli anni Venti Martin Buber abbia dissuaso e distolto Hans Blüher dal togliersi da vita (come aveva fatto Weininger). C’è molto da riflettere su questo capitolo di storia tra ebrei e tedeschi, e di ebraismo tedesco, oltre che sul ruolo che la psicanalisi, freudiana e non, vi ha giocato.
Massimo Giuliani, università di Trento
(26 maggio 2022)