Le verdi distese

“Per scacciare la sua espressione accigliata e la sua bocca sporca visualizzai le verdi distese della Polonia, i campi e i pastori, le fitte foreste, i fiumi, i ruscelli e i laghi, mi aggrappai a essi con tutto me stesso, erano l’unica cosa a cui anelavo, loro e il volto ovale e sorridente di Lidia, che mi ritrovò seduto al suo tavolo.”
“Canaglia”, primo romanzo di Itamar Orlev, pubblicato quest’anno da Giuntina, è un libro sul complesso rapporto odi et amo tra un padre violento e un figlio alla deriva. La ricerca di una disperata e vana riconciliazione attraverso un viaggio in una Polonia crepuscolare. Tra bevitori di vodka, truci racconti sulle atrocità della Seconda Guerra Mondiale, ricordi di vita contadina nelle fattorie collettive del dopoguerra, e poi nei miseri sobborghi di Breslavia.
Per quanto scritto da un autore israeliano, e per quanto lo stesso protagonista sia ebreo, in “Canaglia” Israele e l’ebraismo non compaiono praticamente mai. L’occupazione nazista è soprattutto raccontata dal punto di vista del padre, ex partigiano dell’Armia Krajova, neanche lui del tutto immune dal diffuso antisemitismo così vivo in quegli anni in Est Europa.
In sostanza “Canaglia” è un romanzo polacco scritto da un israeliano che in Polonia non ha mai vissuto.
In qualche modo rivela un nuovo rapporto tra i giovani israeliani e i luoghi della diaspora da cui i nonni o i genitori fuggirono mezzo secolo fa. Una tendenza percepibile già da tempo. In questa prospettiva la diaspora non è più vista come un luogo nostalgico che ormai non esiste più, e neppure come un luogo da superare/dimenticare, quasi interdetto, ma come un qualcosa che è ancora vivo e può far parte in svariate modalità del presente. Proprio perché in fondo per quanto tutto sia mutato o sia stato distrutto “le verdi distese della Polonia” sono rimaste le stesse di sempre.

Francesco Moises Bassano

(27 maggio 2022)