Milano – Pietre d’inciampo,
il racconto di vite spezzate

Il crudo inventario dei beni della casa della famiglia Reinach, espropriata dei suoi averi dai nazifascisti. La lettera inviata da Alberto Segre, padre di Liliana, nel 1938 per provare, nonostante le leggi razziste, ad ottenere un aiuto in casa. La lettera di Jenide Russo, miracolosamente recapitata alla madre, in cui la giovane partigiana racconta, dopo l’arresto a Milano, di aver resistito alle torture dei suoi aguzzini. “Venivo disturbata tutti i giorni perché volevano che io parlassi. Ma io ero più dura di loro e non parlavo. Dì pure che ho mantenuto la parola di non parlare: credo che ora saranno tutti contenti di me”, la breve missiva di Jenide. Parole a cui l’attore e regista Rosario Tedesco restituisce un presente attraverso il progetto “Due dentro ad un foco. Storie di Pietra”: un itinerario narrativo, realizzato assieme a Rossella Tansini e Alberta Bezzan, volto a riscoprire le storie e le vite dietro ai nomi scolpiti su alcune delle Pietre d’inciampo poste a Milano. Sette le tappe previste per questa edizione (30 maggio, ore 18.00), a cura dell’associazione Tracce con il sostegno dell’Università degli Studi di Milano e la partecipazione del Conservatorio della città. “Ci troveremo davanti a Santa Maria delle Grazie e da qui proseguiremo per raccontare la storia di alcune pietre dedicate ai deportati che non fecero più ritorno dai lager nazisti. Come quelle dedicate alla famiglia della senatrice Liliana Segre o dei Reinach. – spiega Tedesco (nella foto di Andrea Sorrentino) a Pagine Ebraiche – Cercheremo di restituire loro una voce e un’identità per condividere con la cittadinanza le loro Memorie”. È un teatro della responsabilità, spiega l’attore, volto coinvolgere attraverso testimonianze e musica i singoli cittadini in un percorso di consapevolezza del passato. Un percorso in cui, grazie a un approfondito lavoro d’archivio, si dà voce a chi fu vittima delle persecuzioni, ma ci si confronta anche con le parole dei loro carnefici. “Non possiamo dimenticare il ruolo di questi ultimi e non possiamo evitare le domande scomode che i loro ruoli portano con sé. Perché lo hanno fatto? Conoscevano le vittime? Sapevano la loro ultima destinazione? Lo hanno fatto per compiacere i propri superiori? Domande che chiamano in causa il lato sbagliato della storia, che aprono anche l’interrogativo al pubblico: cosa avresti fatto tu in quel momento”.
Con il patrocinio tra gli altri dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Cdec, Memoriale della Shoah di Milano e Comitato per le Pietre d’inciampo della città, l’iniziativa è frutto di un lavoro corale. Dalla collaborazione con il Cdec a quella con i Figli della Shoah, dal lavoro a stretto contatto con il Conservatorio e in particolare con Lydia Cevidalli sulle musiche, all’impegno della docente Alessandra Minerbi (dell’istituto Quintino Di Vona), Tedesco racconta come “Due dentro ad un foco” sia un progetto diffuso così come del resto lo sono le Pietre d’inciampo, sparse per tutta Europa. Ad accompagnare le parole di perseguitati e persecutori, la musica. “Con Daniela Dana Tedeschi e Cevidalli abbiamo pensato di proporre un misto di jazz e yiddish che faccia calare il pubblico, attraverso le note, nell’atmosfera dell’epoca”. Nella prima edizione era Bach a fare da colonna sonora, racconta Tedesco. “In quell’occasione era venuta anche una delle sorelle Bucci, Tati. Ha fatto una parte di passeggiata con noi ed è stata una presenza molto importante. Anche nel dare forza all’idea di poter raccontare queste storie. Io credo che non ci sia dolore che non possa essere raccontato. Ovviamente nei tempi e nei modi adatti, sempre con rispetto. Questo è il tipo di teatro che considero responsabile e in cui in questi anni abbiamo coinvolto anche i più giovani”.

dr