800 anni dell’Università di Padova,
la rettrice incontra la Comunità:
“Da secoli un dialogo proficuo”
Nell’anno delle celebrazioni per gli 800 anni dell’Università di Padova, anche la Comunità ebraica ha partecipato ai festeggiamenti: negli scorsi giorni infatti la neo-rettrice Daniela Mapelli ha fatto visita al Museo della Padova Ebraica, insieme a un’ampia delegazione di prorettrici, prorettori e dirigenti, per sottolineare e rinsaldare un rapporto che lega da sempre l’ateneo a questa realtà.
“Questa visita si inserisce nel ricco calendario di eventi per celebrare gli 800 anni di fondazione dell’Università di Padova. Una storia di libertà, di voci diverse – per noi la diversità è valore fondante, è ricchezza – che cercheremo di onorare nel presente e nel futuro”, ha affermato Mapelli. “Una visita – ha poi aggiunto – per ribadire il forte legame che c’è fra la cultura ebraica e il nostro ateneo: tra il XVI e la fine del XVIII secolo l’Università di Padova divenne il più grande centro di insegnamento in Europa per gli studenti ebrei, in un clima di sostanziale tolleranza e protezione promosso dalla Serenissima, che andava in controtendenza rispetto al resto del continente, portando a Padova, così, illustri studiosi provenienti dalle più lontane comunità”.
“Siamo felici che la magnifica rettrice abbia accettato il nostro invito” il commento di Gina Cavalieri, vicepresidente della Comunità ebraica e presidente della Fondazione per il Museo della Padova Ebraica. “Il rapporto tra la nostra comunità e l’università si è fondato su un dialogo proficuo, anche durante epoche avverse, perfino durante l’epoca della ghettizzazione tale dialogo non si è interrotto. Si è interrotto invece bruscamente con l’avvento del fascismo e le conseguenti leggi razziste”. Nel 1938, ha ricordato Cavalieri, “vennero espulsi dall’Università di Padova il 9 per cento dei 548 insegnanti, per la sola colpa di essere ebrei: una pagina che rappresenta un vero voltafaccia e rinuncia ad ogni etica da parte di quello stesso ateneo che tanto si era distinto per libertà di insegnamento, tolleranza ed apertura”. Tuttavia, ha concluso Cavalieri, “noi oggi vogliamo valorizzare i 700 anni di proficua collaborazione (dal 1200 al 1900) che hanno portato immensi vantaggi a tutta la società civile padovana; un dialogo che continua anche oggi: la visita della professoressa Mapelli conferma la volontà di proseguire questa strada”. Con la Fondazione per il Museo della Padova Ebraica, del resto, “la Comunità ha voluto dotarsi di un soggetto culturale autonomo, con l’obiettivo di essere un punto di riferimento non solo per la cultura ebraica in città, ma anche e soprattutto per la lotta a ogni forma di intolleranza verso tutte le diversità; ed è attraverso la Fondazione che ora stiamo costruendo collaborazioni e convenzioni, anche con l’Università”.
Si può dire, è stato evidenziato, che il legame tra Comunità ebraica padovana e Università sia nato fin dall’inizio: la presenza di ebrei in città è documentata dal XIII secolo e l’ateneo patavino, sin dalla sua fondazione nel 1222, ha permesso di studiare e laurearsi anche ai non cristiani, senza dover recitare la professione di fede. In particolare, a partire dal XVI secolo l’Università di Padova divenne l’unica in Europa ad ammettere studenti ebrei alla laurea: qui arrivarono, quindi, giovani dalle comunità di tutta Europa, in particolare da Germania e Polonia, ma anche dal Levante. Gli ebrei studiavano medicina, e nel medesimo tempo frequentavano i corsi di Talmud nella Yeshiva, l’accademia rabbinica che divenne presto un centro di studi ebraici di riferimento internazionale. Fra il 1517 e il 1619 furono circa 80 gli ebrei laureati in medicina a Padova, a questi se ne aggiunsero altri 129 fra il 1619 e il 1721. La convivenza, tuttavia, non era semplice: gli studenti ebrei per laurearsi dovevano pagare una tassa e, sebbene la Comunità ebraica pagasse all’ateneo un apposito contributo per evitare problemi, per decenni di tanto in tanto si registravano furti di cadaveri di defunti ebrei per utilizzarli nelle sedute anatomiche. Ci volle un intervento delle autorità nel XVII secolo per mettere fine alla cosa.
L’ingresso delle truppe napoleoniche in città, nel 1707, porta agli ebrei l’emancipazione, e dalla seconda metà del XIX secolo comincia l’età d’oro dell’ebraismo padovano, che esprime personalità di spicco nel mondo sociale, politico, culturale e scientifico locale e nazionale. Per quanto riguarda l’Università, ricordiamo due rettori: Emilio Morpurgo (1836-1885), docente Statistica, guidò l’ateneo dal 1880 al 1882, mentre Vittorio Polacco (1859-1926), professore di diritto civile, fu rettore dal 1905 al 1910, per poi essere nominato senatore del Regno. Fra i docenti godeva di fama internazionale il matematico e fisico Tullio Levi Civita (1873-1941), figlio dell’avvocato ed ex sindaco Giacomo che fece in modo che la Cappella degli Scrovegni diventasse proprietà del Comune. Le leggi razziali del 1938 colpirono Tullio Levi Civita quando ormai da vent’anni, lasciata Padova, insegnava a La Sapienza di Roma. Nella nostra Università il 9 per cento dei professori, quasi 1 su 10 quindi era ebreo. Fra gli espulsi dal Senato Accademico ricordiamo il professore di Fisica Augusto Levi e il professore d’Ingegneria Alberto Goldbacher: i due diedero vita alla scuola media e superiore ebraica, che consentiva ai ragazzi di continuare gli studi da privatisti. Nel 1943, quando cominciarono le deportazioni, entrambi trovarono la morte ad Auschwitz e sono ora ricordati da due pietre d’inciampo di fronte all’entrata dell’Università in via VIII Febbraio.
(Nell’immagine: la rettrice in sinagoga assieme al rabbino capo rav Adolfo Locci)