La lezione di Boris Bondarev
Chapeau, o se preferite kol ha kavod a Boris Bondarev, Consigliere della missione russa all’Ufficio delle Nazioni Unite di Ginevra, che ha avuto il coraggio di scegliere la dignità e l’umanità, dimettendosi dal suo incarico e denunciando con forza in una lettera resa pubblica l’aggressione russa all’Ucraina. Le sue parole, riportate ampiamente da un articolo di Anna Zafesova su La Stampa del 24 maggio scorso, parlano chiaro: “In vent’anni di carriera diplomatica ho assistito a diverse svolte della politica estera, ma non mi sono mai vergognato del mio Paese quanto il 24 febbraio di quest’anno […] Chi ha deciso questa guerra voleva soltanto una cosa: restare al potere per sempre, abitare pomposi palazzi di cattivo gusto, navigare yacht che costano quanto
l’intera marina russa, godere di un potere illimitato e di un’impunità totale. Sono pronti a sacrificare qualunque numero di vite per questo scopo. Migliaia di russi e ucraini sono già morti in nome di questo obiettivo […] La guerra aggressiva scatenata da Putin contro l’Ucraina, di fatto contro l’intero mondo occidentale, non è soltanto un crimine contro il popolo ucraino, ma anche il crimine più grave che potesse commettere contro il popolo russo, con la grande Z a cancellare tutte le nostre speranze e prospettive di una società libera e prospera”.
Una presa di posizione netta e durissima, accorata e penetrante, che in nome di uno spirito civile non si può non approvare appieno. Quel che colpisce e lascia qualche spiraglio di speranza per il futuro della Russia (e quindi dell’Europa) è la provenienza di una denuncia leggibile come autentico atto di ribellione: non l’opposizione militante e organizzata (ma purtroppo impotente) al regime, bensì un uomo delle istituzioni che occupava un posto di delicata responsabilità internazionale; un individuo che però, pur al servizio di un potere pervasivo e repressore, non ci sta, sceglie di esprimere pubblicamente il suo profondo dissenso e di chiamare l’ “operazione militare speciale” di Putin con il suo vero nome, l’unico possibile: “crimine”. Crimine innanzitutto contro gli ucraini aggrediti e martoriati, ma non solo; anche contro i russi e contro la Russia come Paese. Questo è il fatto ancora più nuovo, che a mio giudizio rende ancora più apprezzabile la scelta ardimentosa di Bondarev: cercare di valutare con occhio oggettivo, non annebbiato da passioni nazionalistiche assetate di potenza, il danno irreparabile arrecato dal crimine putiniano all’immagine, alla dignità, alle speranze di tutto ciò che è russo. Con lucida intelligenza accompagnata da partecipazione umana, il diplomatico si dimostra autentico patriota, guardando alla condizione morale del suo paese al di là del potere territoriale derivato dalle conquiste e impartendo una vera e propria lezione etica oltre che stilistica al suo indegno Presidente.
Presidente che peraltro, impegnato a leccarsi le ferite inferte dall’esercito ucraino e a creare nuove distruzioni in Donbass, Lugansk e altre regioni dell’Ucraina, si guarderà bene dall’accettare l’insegnamento, e sarà invece pronto ad attivare le procedure per mettere il più velocemente possibile fuori combattimento colui che è ormai divenuto un pericoloso nemico, come avvenuto in passato con i giornalisti Anna Politkovskaya e Pavel Klebnikov, con il deputato liberale Sergei Yushenkov, con l’ex-agente del KGB Alexander Litvinenko, con l’avvocato Sergei Magnitsky, con l’oligarca Boris Berezovsky, con l’ex-vicepremier Boris Nemcov, da ultimo con l’oppositore Alexander Navalny avvelenato nell’agosto 2020, ristabilitosi e arrestato dopo il rientro a Mosca dalla Germania.
Questo rischio palpabile e incalzante rende la lezione di Bondarev ancora più degna, perché sottolinea la forza morale del personaggio, capace di sfidare il pericolo in nome del dovere etico della dissociazione e della denuncia; quell’impegno kantiano al rifiuto del male (“fai perché devi!”) che porta l’uomo a essere veramente uomo. Lo spiraglio di speranza che intravedo è la possibilità di una graduale perdita di appoggio interno a Putin e alla sua macchina del potere. Se altri funzionari del regime raccoglieranno l’esempio del Consigliere Onu osando spingersi sul sentiero stretto e accidentato dell’opposizione con una forza analoga o anche inferiore, se altri membri dell’apparato saranno capaci di andare oltre l’interesse individuale e familiare comprendendo che il vero patriottismo è lavorare per un Paese che non opprime altri Stati ma tratta e collabora con loro, allora forse allo zar e ai suoi seguaci comincerà a mancare il terreno sotto i piedi e l’impero comincerà a crollare sulle sue fondamenta. E’ solo una vaga speranza, ma oggi come oggi cos’altro ci resta?
David Sorani
(31 maggio 2022)