L’addio a Boris Pahor
“Un’esistenza mai rivolta all’indietro, anche nell’età più tarda, sempre contemporanea, in confronto col proprio tempo; gli splendidi libri che ha scritto, anche sulla sua esperienza del Lager, da cui è uscito segnato ma illeso nella sua energia combattiva”. Così Claudio Magris ricorda sulle pagine del Corriere della Sera il grande scrittore di lingua slovena e voce di Memoria Boris Pahor, morto ieri all’età di 108 anni. Una vita lunga, iniziata a Trieste nel 1913, passata a combattere contro i totalitarismi e celebrata dai principali quotidiani italiani. Il Corriere, oltre al ricordo dell’amico Magris – che spiega come Pahor abbia “sempre difeso la sua gente, gli sloveni, anche quando ciò era duro, rischioso o duramente impedito, ma non è mai stato nazionalista” – ricostruisce la vita dell’autore di Necropoli: le violenze fasciste subite tra italianizzazione forzata e l’incendio del Narodni Dom nella sua Trieste e di cui fu testimone; l’adesione alla Resistenza, l’arresto e la deportazione con la reclusione in diversi lager in Francia e Germania. Esperienza poi raccontata nel citato Necropoli, “un’opera magistrale” che ricostruisce con precisione “l’abiezione storica divenuta squallore cosmico, vuoto assoluto”, come scrisse Magris. Oppositore del regime di Tito, “picchiò duro” anche contro di quest’ultimo, ricorda Paolo Rumiz su Repubblica, sottolineando l’impegno di Pahor a non fare sconti a nessuno, in nessuna lingua. Non li fece all’Italia, scrive ancora Rumiz, denunciando “l’assenza di una Norimberga per i criminali di guerra italiani, e di conseguenza l’assenza di una celebrazione ufficiale dedicata non solo alle vittime di slavi o tedeschi, ma anche a quelle del fascismo”. Su La Stampa Elena Loewenthal traccia alcune somiglianze tra Pahor e Primo Levi: l’aver usato la narrativa per raccontare l’orrore, l’essere sopravvissuti anche grazie al proprio sapere, l’aver ottenuto un riconoscimento tardivo per i propri scritti (Necropoli, pubblicato nel 1967, fu tradotto solamente a fine anni ’90 in Italia). Per Loewenthal poi “Boris Pahor ha incarnato meglio di qualunque altro intellettuale della sua epoca la straordinaria complessità di trovarsi al centro della storia ma al tempo stesso esserne ai margini perché rifiutato, perché estraneo al potere”.
L’Ue e le sanzioni alla Russia. È stato raggiunto nella serata di ieri al vertice del Consiglio europeo un primo accordo sull’embargo al petrolio russo, parte del sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca ancora da approvare. L’embargo è valido per l’importazione via mare e per i prodotti petroliferi russi, con l’esenzione temporanea del greggio via oleodotto. Esenzione che dà garanzie all’Ungheria, che si era messa di traverso. “Il blocco permetterà di tagliare due terzi del petrolio importato dalla Russia”, ha assicurato il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Sul Corriere Danilo Taino spiega che l’attesa sanzione arriverà solo a fine anno e potrebbe quindi essere introdotta a guerra ormai finita. “A Kiev e in alcune capitali europee – scrive Taino – il timore è che la determinazione di certi governi a sostenere l’Ucraina sia in recessione”. Intanto, a proposito di sanzioni, sul Foglio si parla delle analisi del docente di Yale Jeffrey Sonnenfeld, che, dati alla mano, ha dimostrato come le azioni delle diverse aziende per isolare l’aggressore russo abbiano conferito alle aziende stesse “un valore aggiunto”. Per Sonnenfeld questo dimostra che “fortificare la pace nel mondo, proprio come fortificare la democrazia, è una parte del dovere aziendale”.
Ucraini e russi, convivere in Israele. Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, circa 21mila persone hanno fatto l’aliyah in Israele. La particolarità è che metà (10.019) sono ucraini e metà (9.777) sono russi, evidenzia Avvenire. “Segno che il contraccolpo della guerra è stato percepito, eccome, anche a Mosca”. Ricostruendo la politica decisa dal governo di Gerusalemme sugli ingressi (con alcune polemiche interne), il quotidiano ascolta la voce del demografo Sergio Della Pergola. Rispetto agli arrivi dall’Ucraina, spiega come diverse previsioni avessero esagerato nel numero degli arrivi potenziali. “Il gruppo ebraico che oggi vive in Ucraina – spiega il docente emerito dell’Università Ebraica – è il residuo di un 10% rispetto al 100% che esisteva 50 anni fa. Con l’emigrazione che è già cominciata negli anni Settanta e soprattutto dopo, con il collasso dell’Unione Sovietica, la grandissima maggioranza degli ebrei se n’era già andata. Gli ebrei rimasti sono molto integrati, assimilati: era prevedibile che scegliessero di non partire. Molti, poi, appartengono agli strati sociali più alti, pensiamo al presidente Zelensky, e non hanno alcun interesse ad andare via. Dovendo farlo, preferiscono restare in Europa, rivolgendosi a Paesi più vicini, come la Polonia o la Germania. Certo, tutto può ancora succedere: va considerato l’andamento della guerra, che nessuno, attualmente, può prevedere”. Per Della Pergola rimane poi valido uno dei principi alla base dell’economia israeliana: “Chi arriva è una risorsa”.
Dall’Europa a Israele. Impegnata nelle trattative sull’ultimo pacchetto di sanzioni alla Russia, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen programma anche le sue visite internazionali. In calendario, racconta la Stampa, anche un passaggio in Israele “negli stessi giorni in cui ci sarà anche il premier Mario Draghi. La visita di Draghi è indicata per il 13-14 giugno, quella di von der Leyen per il 13-15 giugno”.
La profanazione al Verano. Un coro di voci sdegnate ha accompagnato la notizia della profanazione della tomba di Alfredino Rampi, scoperta ieri al cimitero del Verano a Roma. Undici svastiche sono state tracciate sulla lapide della sepoltura del bambino di 6 anni, che morì tre giorni dopo essere caduto in un pozzo a Vermicino (Roma) il 10 giugno 1981. Corriere Roma, dando conto nelle univoche condanne della politica, segnala l’apertura di un’inchiesta per individuare i responsabili del vergognoso gesto.
Giustificazioni non richieste. Prendendo spunto dal caso della conduttrice di una tv locale del Veneto, Massimo Gramellini sul Corriere oggi riflette sul “vezzo giustificazionista con cui molti, quando scivolano sulla buccia del politicamente scorretto, cercano di ricucire l’orlo del baratro”. E così Gramellini cita: “il sovranista antisbarchi che asserisce di avere un genero marocchino simpaticissimo. II negazionista dell’Olocausto che va sempre in vacanza a Tel Aviv. Il moltiplicatore di battute omofobe che ha un migliore amico gay”. Tentativi di giustificarsi non richiesti che, scrive Gramellini, “sembrano suggerire: giudicateci da ciò che facciamo, anziché da ciò che diciamo. Ma non riescono a sciogliere il dubbio che ciò che dicono assomigli molto di più a ciò che pensano”.
Daniel Reichel