Ortiche, palloni e pandette
La Repubblica del 23 maggio 2022 riferisce: “‘In sinagoga vai a pregare/ ti farò sempre scappare’. L’hanno scandito a gran voce nella piazza di Ponte Milvio nel prepartita, poi il coro si è levato potente dai gradoni della Curva Nord, seguito anche dai distinti”.
L’art. 62 delle Norme Organizzative Interne della Federazione Italiana Gioco Calcio (NOIF) dispone delle procedure nei casi che negli stadi vi siano “cori, grida ed ogni altra manifestazione espressiva di discriminazione per motivi di razza, di colore, di religione, di lingua, di sesso, di nazionalità, di origine territoriale o etnica, ovvero configuranti propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori”. Il comma 14 del citato articolo dispone che “Il non inizio, l’interruzione temporanea e la sospensione della gara non potranno prolungarsi oltre i 45 minuti, trascorsi i quali l’arbitro dichiarerà chiusa la gara, riferendo nel proprio rapporto i fatti verificatisi, e gli Organi di Giustizia Sportiva adotteranno le sanzioni previste dall’art. 17 del Codice di Giustizia Sportiva, ferma restando l’applicazione delle altre sanzioni previste dal codice di giustizia sportiva per tali fatti”.
Perché la norma non si applica? Leggiamo in un’opera recente: “Grossi, Un impegno per il giurista di oggi: ripensare le fonti del diritto, Napoli, 2008, par. 8, p. 65 ss., il quale osserva “il principio di effettività, sovrano in ogni epoca di transizione, è diventato oramai canone di misura della giuridicità” (sottolineatura nostra, in: Rita Rolli, Il diritto privato nella società 4.0, Kluwer, 2022, p. 8, nota 5).
Non solo ebrei: nella stessa gara ad uno steward colpevole di non avere la pelle abbastanza chiara, bersagliato di contumelie, è stato consigliato di spostarsi.
Delle due l’una: o si abrogano le norme che prevedono la sospensione della gara oppure si applicano. Perché è forte il rischio che a forza di credere ad improbabili spiegazioni, non si distingua più fra realtà e fantasia. Lo dico per bieche ragioni corporative, e quindi per difendere il giure, così poco considerato e, in fondo, umiliato. In un paese con un numero smisurato di avvocati, sospendiamo le gare e poniamo pure fine ad esse, per pietà di chi, in fondo, ha gettato alle ortiche il tempo sfogliando le pandette. Dal punto di vista scientifico, potrei soggiungere qualche accenno alla teoria critica e alla sua applicazione in ambito giuridico, ma temo che potrebbe tutt’al più interessare soltanto ai miei parenti stretti.
Emanuele Calò, giurista
(31 maggio 2022)