Voci di libertà, dall’Italia agli Usa
![](https://moked.it/files/2022/05/Memorial-day1-790x614.png)
Gli italoamericani inquadrati nelle forze armate statunitensi che liberarono l’Europa dal nazifascismo furono centinaia di migliaia, per la gran parte figli e nipoti di emigranti sbarcati nel nuovo continente tra Ottocento e primo Novecento. Una situazione non dissimile per il contingente significativo ma non troppo conosciuto di italobritannici, italocanadesi, italoaustraliani e italobrasiliani che lottarono anch’essi contro gli eserciti dell’Asse, muovendosi talvolta in contesti che potevano apparire più o meno familiari a seconda dei racconti loro trasmessi nell’intimità domestica o nelle realtà aggregative e sociali frequentate.
A ripercorrerne le vicende la mostra “Voci di libertà: I combattenti alleati di origine italiana nella Seconda guerra mondiale” / “Voices of Liberty: Allied Servicemembers of Italian Descent in WWII” inaugurata al Centro Studi Americani di Roma in occasione del Memorial Day, la giornata istituita in ricordo di chi, in quello sforzo decisivo per le sorti del secondo conflitto mondiale, perse la vita.
Curata dagli storici Matteo Pretelli (Università di Napoli L’Orientale) e Francesco Fusi (Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età contemporanea), l’esposizione si compone di un’affascinante carrellata di storie e fotografie distribuite lungo trenta pannelli che aprono ciascuno una finestra e sono un invito ad approfondire ulteriormente. Uno sguardo largo che tratta vari aspetti di un tema che si presta, come è facile intuire, a molte riflessioni. Anche sul significato stesso di avere quel tipo di connotazione identitaria in un momento in cui l’Italia, vista dal mondo libero, era sinonimo di Mussolini, fascismo, negazione dei diritti e della libertà. Una prova che, hanno evidenziato i curatori, sarà superata a pieni voti.
Un capitolo tra i tanti è dedicato a un particolare genere di migrazione che avrebbe arricchito le file anche dell’esercito liberatore. Quella composta cioè da quanti si erano lasciati l’Italia alle spalle in anni più recenti “perché ebrei sfuggiti alle persecuzioni razziali del fascismo, oppure antifascisti in fuga dalle prevaricazioni del regime nei confronti dei loro oppositori”. Emblematica in tal senso la biografia di Alex Sabbadini, nato a Roma nel 1916 ed emigrato negli Usa nel ’39 dopo essere stato congedato con disonore dall’esercito italiano con l’entrata in vigore dei provvedimenti antisemiti. Benché dichiarato enemy alien, riuscì a farsi arruolare e a farsi assegnare a un’unità di intelligence. Sabbadini fu poi protagonista in Nord Africa e sbarcò infine ad Anzio “seguendo l’avanzata alleata fino alla completa liberazione della penisola”. Ad inaugurare la mostra anche Matteo Sanfilippo (Università della Tuscia) e Michele Colucci (Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di studi sul Mediterraneo), insieme al direttore del Centro Studi Americani Roberto Sgalla, alla bibliotecaria Annalisa Capristo e a Christina Tomlinson in rappresentanza dell’ambasciata degli Stati Uniti.
(Nell’immagine in basso: Alex Sabbadini)