Pensare un futuro di guerra

Tre mesi e mezzo di full immersion mediatica nella tragedia ucraina ci hanno progressivamente portato ad avvertire la guerra di aggressione e di conquista condotta a non grandissima distanza da noi come fatto quotidiano, al quale paradossalmente stiamo persino facendo l’abitudine. È uno spettacolo terribile che contemporaneamente ci sconvolge e ci avvince. Eppure, per quanto coinvolti dallo scenario violento che si dipana quasi davanti ai nostri occhi, restiamo intimamente convinti che quando, probabilmente in tempi molto lunghi, il conflitto terminerà e le armi finalmente taceranno la situazione internazionale potrà pian piano tornare alla condizione semipacifica alla quale eravamo abituati sino al 24 febbraio 2022 e che un po’ genericamente chiamavamo “normalità”.
Purtroppo però gli esperti di rapporti politici mondiali e di strategia ci assicurano che la cesura prodotta dall’attacco di Putin è volutamente irrimediabile, che ormai il vaso di Pandora si è rotto, che l’opposizione tra lo schieramento occidentale e quello antioccidentale è definitiva e che quindi “dopo” niente potrà più essere come “prima”. Ecco, è proprio questa fatale lacerazione tra un ante-Ucraina e un post-Ucraina, questo cambiamento radicale che non riusciamo ancora a cogliere e a capire ad apparirci oggi particolarmente minaccioso. Già a cavallo della metà di febbraio siamo precipitati, quasi senza accorgercene, sotto il cielo plumbeo dello scontro frontale tra Occidente e Antioccidente. In futuro dovremo probabilmente scordarci la parola “distensione”, il termine che anche negli anni della guerra fredda circolava e si sostanziava di contenuti, alla ricerca di possibili vie di incontro tra schieramenti comunque l’un contro l’altro armati. Dopo le fughe di massa di milioni di persone dalla loro terra, dopo la distruzione creata dai carri armati, dagli aerei, dai missili, dalle navi della Federazione Russa nel territorio ucraino, dopo lo scempio sui civili a Bucha e in altre località sarà impossibile per anni anche solo intravedere un “disgelo”, altro lemma frequentemente usato nell’epoca difficile eppure nonostante tutto costruttiva in cui alla guerra non combattuta (o combattuta “lontano”) sul piano geopolitico si aggiungeva quella delle opposte ideologie. Ma oggi, anche se molto nella Russia attuale appare simile ad allora (fra l’altro, l’emergere di un nazionalismo che diviene ricerca di potere imperiale e l’assenza di una vera libertà/democrazia interna), la realtà si presenta in modo diverso. Innanzitutto, azzeramento assoluto – da una parte e dall’altra – di ogni componente ideologica; inoltre, e forse proprio per questo, mancanza da parte russa di qualsiasi remora all’intervento armato e alla guerra di occupazione, e da parte occidentale prontezza (benvenuta ed essenziale, sia chiaro) nel ridare vigore strategico alla Nato prima di ogni problematica – con Putin di fatto impossibile – via politica verso la pace.
Non ultima tra le vittime del conflitto, il dittatore e la sua Russia hanno di fatto ucciso, nel loro percorso da schiacciasassi senza idee sulla via della potenza, anche ogni concreta prospettiva di mediazione e di accordo; e, andando oltre il fragore delle armi, hanno messo a repentaglio per chissà quanto tempo ogni realistica possibilità di convivenza tra due popoli, ogni credibile progetto di costruzione internazionale di pace. Questo è un crimine non inferiore agli altri più immediati e concreti: le violenze contro le vite, le abitazioni, i luoghi, la sovranità nazionale. È la distruzione cosciente di un futuro libero e di un’ Europa pacifica e coesa per puri fini di potenza politica ed economica.
E così, con la contrapposizione strategica che torna a dettare l’agenda, il futuro che ci aspetta a livello europeo non potrà che essere pensato in termini di guerra, sia essa aperto conflitto armato o contesa fatta di dura rivalità politica e di schieramenti di forze che si fronteggiano.
Oggi un avvenire simile è difficile anche da immaginare nella sua concretezza e nei suoi particolari, abituati come siamo a programmare periodi di sviluppo e di interdipendenze. Ma dovremmo acquisire la capacità di prevedere gli anni che ci attendono e le loro esigenze. E non solo in termini politici ed economici, ma anche in chiave storica, filosofica, culturale.

David Sorani

(7 giugno 2022)