Il ’38 e la cacciata degli intellettuali:
il caso Ezio Levi d’Ancona
Ezio Levi D’Ancona (Mantova 1884 – Boston 1941) fu uno dei 96 professori ordinari (e straordinari) che nel 1938 vennero espulsi dall’insegnamento universitario italiano in conseguenza dell’emanazione delle leggi antiebraiche fasciste. Oltre alla cattedra di Filologia romanza presso l’Università di Napoli perse anche gli altri incarichi di insegnamento che ricopriva presso l’Istituto di Magistero «Suor Orsola Benincasa» e L’Orientale, sempre a Napoli. Così pure, fu espulso da tutte le istituzioni culturali italiane (accademie e deputazioni storiche) delle quali era membro. Impossibilitato a proseguire la propria attività come docente e come studioso e a pubblicare con il proprio nome, nel dicembre 1939 partì dall’Italia con la moglie Flora Aghib per cercare una sistemazione negli Stati Uniti. Dopo molte peripezie riuscì ad ottenere un incarico di insegnamento al Wellesley College in Massachusetts. Morì a Boston per le complicazioni di un’ulcera il 28 marzo 1941.
Personaggio di grande personalità e rilevanza intellettuale, anche se non notissimo, Ezio Levi è quindi prima di tutto un caso “esemplificativo” dello sconvolgimento provocato dall’adozione della politica razzista del fascismo nelle vite degli ebrei italiani, ivi compresi coloro che, prima del 1938, non avevano manifestato dissenso o opposizione nei confronti del regime. Nel breve volgere di qualche mese, progetti di vita e professionali costruiti con anni di lavoro e dedizione vennero spazzati via, la propria stessa identità cancellata e comunque stravolta, l’incolumità propria e dei propri famigliari esposta a gravi rischi e umiliazioni; per non parlare degli esiti più tragici legati alla deportazione e allo sterminio. Si trattò di una ferita profonda, che per molti non si ricompose più e che modificò per sempre il rapporto con l’Italia.
Ma ci sono altri motivi per cui la vicenda di Ezio Levi offre molti spunti di analisi e di riflessione, in particolare sulle dinamiche persecutorie del regime. Il primo riguarda il censimento attuato per individuare ed espellere gli ebrei dai vari ambiti professionali, a cominciare da quello educativo e culturale: scuola, università, accademie e società scientifiche, storiche, letterarie, ma anche l’intero mondo editoriale. Le schede personali che anche Ezio Levi fu costretto a compilare per le accademie e l’università costituiscono una testimonianza significativa della crisi identitaria profonda vissuta dai perseguitati. Interessante risulta da questo punto di vista la comparazione fra le prime schede che compilò e le successive: inizialmente, infatti, nel rispondere ai quesiti sull’appartenenza alla «razza ebraica» dei genitori e della moglie, Ezio Levi cancellò la parola “ebraica” e la sostituì con “italiana”, rivendicando l’appartenenza propria e dei famigliari alla nazione; in un secondo momento smise di farlo e si limitò a rispondere ai quesiti senza modificarne il testo, consapevole ormai probabilmente dell’inutilità della propria protesta.
Un altro aspetto importante della documentazione finora emersa e relativa a Ezio Levi riguarda il perverso strumento della «discriminazione» previsto dalla legislazione fascista, ossia la concessione di una parziale esenzione dalla persecuzione da parte di una commissione del Ministero dell’Interno sulla base del riconoscimento del tutto discrezionale di “benemerenze” di carattere politico, militare o di altro genere. Era una strategia che mirava a dividere i perseguitati, costringendoli tra l’altro a sottoporsi ad una snervante procedura burocratica nella speranza di preservare almeno in parte i propri diritti e il lavoro. Questa divisione ebbe luogo – tra l’altro – fra gli stessi fratelli Levi, che ebbero destini diversi. Ezio, in particolare, non riuscì ad ottenere la «discriminazione», nonostante alcune influenti personalità (Giovanni Gentile e probabilmente il gesuita Tacchi Venturi) fossero intervenute in suo favore, come testimoniano alcuni documenti inediti conservati nel suo fascicolo della Demorazza.
Un altro motivo di interesse e di novità, legato strettamente ai precedenti, è il contesto famigliare nel quale la vicenda del filologo e ispanista si inserisce e nel quale si realizzarono i tre esiti possibili della persecuzione: l’esilio forzato (Ezio); la deportazione (Ettore e Elide); la sopravvivenza (Enzo). Ad essi va aggiunta la morte di Ezio per lo stress provocato dalle vicende della persecuzione dello stesso Ezio e dell’altro fratello Enrico.
Si può pertanto dire che nel microcosmo famigliare di Ezio Levi – come del resto in quello di molti ebrei italiani ed europei – si siano intersecati tragicamente i tre percorsi delineati da Daniel Libeskind nel Museo ebraico di Berlino: esilio, Shoah e continuità della storia.
Annalisa Capristo
Lo studio della persecuzione può fornire ancora molto materiale e diverse riflessioni nuove. Di questo e di molto altro si è parlato nella giornata di studio in ricordo di Ezio Levi D’Ancona, organizzata dal Centro di Studi Ebraici dell’Università di Napoli L’Orientale il 25 gennaio 2022 e i cui atti sono in corso di pubblicazione, curati dal professor Giancarlo Lacerenza per la collana di Ateneo Archivio di Studi Ebraici. Il volume include la relazione di Annalisa Capristo, «Cittadino di razza ebraica». Ezio Levi D’Ancona e l’espulsione dal mondo accademico italiano nel 1938, di cui qui si è fornito un estratto.