Antisemitismo vecchio e nuovo

Appare opportuno procedere a una riflessione sull’uso dei termini “antisemitismo” e “antisionismo”, non solo per ragioni euristiche ma anche per ragioni pratiche: mentre per i sostenitori di Israele l’antisionismo è una forma di antisemitismo, al contrario tra chi avversa lo Stato degli ebrei è frequente l’affermazione di essere contrario all’antisemitismo ma di non avere lo stesso atteggiamento di fronte a chi fa professione di antisionismo.
Un aiuto per far chiarezza sull’uso di questi termini lo dà la definizione di antisemitismo elaborata dall’Ihra (International Holocaust Remembrance Alliance) che, dopo aver indicata genericamente l’essenza dell’antisemitismo nell’odio contro gli ebrei, elenca una serie di esempi che chiariscono in cosa consista tale odio. Di questi undici esempi, ben sette hanno per oggetto lo Stato d’Israele, mentre i primi quattro si riferiscono a forme tradizionali di antisemitismo. Da questa esemplificazione si capisce quanto sia sbagliata la distinzione o addirittura la contrapposizione tra antisemitismo e antisionismo, quando invece di tratta di fenomeni caratterizzati da una continuità storica e concettuale.
In realtà il ritorno a Sion è stato un principio essenziale nella storia dell’ebraismo. Tuttavia non è stato vissuto e praticato con le stesse modalità nel corso della sua storia, in particolare nel corso del XX e nello scorcio del XXI secolo. Dalla nascita del sionismo moderno con il congresso di Basilea del 1897 fino alla proclamazione dello Stato d’Israele nel 1948 la sottolineatura dei principi sionisti è servita soprattutto ad operare una distinzione nei confronti di altre correnti dell’ebraismo: nell’Europa orientale, in particolare, nei confronti del bundismo; nell’Europa occidentale nei confronti del rischio dell’assimilazione.
Il Bund (Federazione generale dei lavoratori ebrei di Lituania, Polonia e Russia) sosteneva che l’emancipazione dei lavoratori ebrei doveva avvenire sulla base di principi socialisti all’interno dei territori dove storicamente la Diaspora si era manifestata. Il ritorno a Sion era perciò qualcosa solo di ideale mentre i lavoratori ebrei dovevano battersi per il miglioramento delle loro condizioni di vita e per l’affermazione della loro identità all’interno dei territori che facevano parte, allora, dell’Impero Russo. Il bundismo ha continuato ad avere una sua influenza, anche se declinante di fronte allo sviluppo del sionismo, nel periodo tra le due guerre, per poi decadere definitivamente con la II guerra mondiale, durante la quale ebbe la sua ultima eroica manifestazione promuovendo e dirigendo l’insurrezione di Varsavia dell’estate 1942. La feroce repressione nazista segnò la definitiva scomparsa del bundismo, mentre il sionismo rimase l’unica, e vincente, alternativa per gli ebrei scampati alla Shoah.
Con la nascita dello Stato d’Israele non scomparve certo l’antisemitismo tradizionale, quello che si era manifestato, in contesti diversi, nel corso di più di venti secoli, prendendo alimento da pregiudizi di tipo religioso, razziale, economico, di costume, che riguardavano non soltanto il mondo cristiano ma anche quello islamico. Ma la nascita dello Stato ebraico catalizzò buona parte della tradizionale ostilità verso gli ebrei che aveva caratterizzato la storia sia del mondo cristiano che di quello islamico, dando così luogo alla distinzione tra antisemitismo e antisionismo che fino ad allora non aveva avuto modo di manifestarsi. In realtà quello che è stato chiamato antisionismo non ha sostituito il tradizionale antisemitismo ma vi si è innestato, in particolare nel mondo islamico; ma in una certa misura ha riguardato anche il modo cristiano o, in termini più generali, il mondo occidentale.
In Occidente la tragedia della Shoah ha inciso così profondamente nelle coscienze che non era possibile, almeno nell’immediato dopoguerra, riproporre negli stessi termini gli stereotipi antisemiti che erano stati diffusi per secoli. L’odio verso Israele divenne un facile surrogato dell’antisemitismo tradizionale e si diffuse in maniera crescente nella misura in cui non veniva risolto il problema palestinese, che dava nuova esca alle campagne contro lo Stato ebraico, campagne che hanno coinvolto in maniera crescente non solo frange estremiste ma anche strati apparentemente più moderati dell’opinione pubblica, fino a toccare istituzioni come l’Onu (in particolare alcune sue agenzie) e l’Unione Europea, per non parlare del ruolo di alcune strutture universitarie, in particolare inglesi e americane, e di alcuni enti che hanno mascherato dietro finalità umanitarie il loro odio contro Israele: l’esempio più noto è quello di Oxfam ma non mancano anche in Italia esempi simili.
In questa situazione si capisce come la distinzione tra antisemitismo e antisionismo non abbia più senso: essa serve soltanto a quegli antisemiti che – avendo difficoltà a manifestare apertamente i loro sentimenti – si rifugiano dietro questa distinzione. Ma in realtà – come dimostrano infiniti esempi – il nuovo antisemitismo – che ha nello Stato d’Israele il suo bersaglio esplicito – 2comprende e ripropone anche le più tradizionali forme di odio contro gli ebrei, da quelle di matrice religiosa a quelle economiche, utilizzando in particolare il mondo incontrollato dei social media, dove conta essenzialmente la ripetitività delle accuse e non la dimostrazione della loro veridicità. Appare perciò opportuno – seguendo le indicazioni dell’Ihra – parlare di vecchio e nuovo antisemitismo, avendo sempre presente la continuità tra queste diverse forme, che hanno in comune sempre e comunque l’odio contro gli ebrei.

Valentino Baldacci

(9 giugno 2022)