Hate speech nello sport,
una rete europea contro l’odio

In questi anni cori e intemperanze razziste sono state spesso una consuetudine nelle curve del calcio italiano. Basti pensare, guardando al solo mese di maggio, agli insulti proferiti da un gruppo di tifosi della Lazio contro uno steward in servizio all’Olimpico preso di mira per il colore della pelle. O, restando sempre nella Capitale, a quei supporter della Roma che nella loro ultima trasferta hanno evocato una nuova “Marcia” sulla falsariga di quella fascista che, esattamente un secolo fa, trascinò l’Italia nel baratro della dittatura. Una “macchia nera”, come ha scritto qualcuno, nella notte altrimenti esaltante di Tirana che ha visto un club del nostro movimento conquistare un trofeo continentale a ben 12 anni dall’ultima volta. Due esempi tra i tanti che si potrebbero fare e non riferiti al solo universo del pallone. Anche altre discipline, infatti, hanno visto l’infittirsi di situazioni allarmanti sul crinale del pregiudizio e dell’odio (anche antisemita) talvolta derubricati in modo irresponsabile, da chi avrebbe la responsabilità non solo di stigmatizzare ma anche di intervenire, a goliardia. E non nella sola Italia per la verità.
“Combating Hate Speech in Sport”, il nuovo progetto varato congiuntamente da Unione Europea e Consiglio d’Europa, si propone di offrire gli strumenti adeguati per affrontare questo problema anche nella prospettiva di fare rete in modo più efficace tra Paesi e istituzioni. Nessuno insomma deve sentirsi solo e tutti devono essere portati a collaborare, a condividere esperienze sia negative che positive. Lo sport, si afferma nella premessa, unisce le persone. Contribuisce alla salute e al benessere, abbattendo le barriere e costruendo fiducia e spirito di comunità tra chi lo pratica. Tuttavia, se preso per il verso sbagliato, “può anche esacerbare tensioni o rivalità e favorire la discriminazione nei confronti di determinate categorie di popolazione, contrariamente agli standard, agli obblighi e ai principi internazionali sulla lotta al razzismo e alla discriminazione”.
Sebbene sia l’Unione Europea che il Consiglio d’Europa abbiano sviluppato quadri normativi anche abbastanza sofisticati, gli eventi sportivi restano sotto la scure delle parole malate così straripanti ormai sia online che offline. La distinzione è caduta da tempo e spesso purtroppo stadi, parquet e palazzetti si sono trasformati in veri e propri megafoni del peggio su piazza. Violenze che nascono come verbali ma che non di rado, si sottolinea nel documento, “degenerano anche in violenze fisiche che coinvolgono i sostenitori e provocano l’interruzione dell’evento stesso”. Comportamenti inaccettabili da non passare sotto silenzio, ma che al contrario devono essere “prevenuti e affrontati”.
Il lancio del progetto, avvenuto nel corso di un meeting tenutosi di recente a Strasburgo, aveva varie finalità. Tra cui quelle di esaminare le modalità innovative con cui viene affrontato l’hate speech nei contesti più diversi, soffermandosi su tendenze e direzioni di sviluppo; e oltre a ciò quello di presentare pratiche e progetti specificamente dedicati al contrasto dell’incitamento all’odio; e ancora dare visibilità e sensibilizzare sull’impegno antirazzista assunto dai vertici UE anche attraverso questa proposta; e infine implementare una rete di competenze e cooperazione per la sua messa in pratica nel quotidiano. A confrontarsi su questo e altri temi sono stati invitati rappresentanti dei vari ministeri dello sport, organizzazioni nazionali e internazionali, atleti, dirigenti, esponenti del tifo.
Nella delegazione italiana anche Triantafillos Loukarelis, il direttore dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (Unar) della Presidenza del Consiglio che è tra le realtà che più si sono spese in questo ambito portando sul tavolo delle istituzioni preposte campagne e progetti concreti. Essenziale per avere successo, ha detto Loukarelis intervenendo a Strasburgo, un approccio il più possibile multi-stakeholder che coinvolga tra tanti anche il mondo dell’informazione. “I club sportivi e le federazioni devono collaborare con gli allenatori, i giocatori e i club di tifosi”, l’appello del direttore dell’Unar. Oltre a ciò, l’invito alle organizzazioni sportive è a “collaborare con i media per garantire che l’incitamento all’odio e la violenza siano coperti in modo da evitare di riutilizzare gli stereotipi”. Allo stesso tempo, ha aggiunto, è fondamentale agire in sinergia “con le autorità pubbliche e le forze dell’ordine che vanno messe nelle condizioni giuste per far sì che questa problematica sia affrontata efficacemente e che le vittime di incitamento all’odio ricevano un sostegno adeguato”. Senza tralasciare infine il fronte, anch’esso di primaria importanza come gli altri, di una effettiva punibilità degli atti discriminatori compiuti “in ambito penale, civile e amministrativo”.