Oltremare – Lettere
Una cosa cui nessuno viene preparato nel processo di Aliyah, e che invece impatterà tutta la vita del nuovo israeliano, è l’uso sfrenato che si fa degli acronomi nell’ebraico scritto, e a volte anche nel parlato. Ora, non fosse che l’ebraico moderno è una lingua compattissima, brevissima, con pochissimi fronzoli e usato con l’assenza quasi totale di subordinate, uno potrebbe anche capire. E invece qualcuno, molto all’inizio dell’utilizzo del nuovo ebraico, deve aver deciso che non bastava avere una lingua che è un telegramma senza nemmeno gli “stop”, e bisognava fare qualcosa per impedire a chi non sa abbastanza bene la lingua di capire di cosa accidenti si sta parlando. Come quando i fari delle automobili francesi passavano frontiera e apparivano in tutto il loro tono giallino spento, visibilissime a noi italici automobilisti con fari bianchi, il nuovo immigrato, anche quello che parla l’ebraico discretamente, appare in tutta la sua mancanza di strati culturali quando l’israeliano sabre si spertica in abbreviazioni di cose anche totalmente inutili da abbreviare. Diciamolo, la parola pomeriggio, “aharei ha-zaharaim” è in effetti lunghetta, e se la si usa molto è legittimo abbreviarla. Ma nelle chat locali si vedono abbreviazioni di parole che uno deve lambiccarsi il cervello per capire prima di tutto quale sia il contesto, poi che parola esatta si è voluto abbreviare, e poi, solo alla fine, che cosa diceva infine questa comunicazione, che può essere anche ufficiale. Perché abbiamo imparato tutti, studiando l’inglese, che le abbreviazioni come “I’d” per “I would” e simili si possono usare in contesti informali, ma mai, assolutamente mai, in un documento ufficiale o formale letto da estranei. Ecco, forse gli iniziatori dell’ebraico moderno volevano andare proprio contro l’uso inglese del doppio standard, una specie di rivincita contro il colonizzatore inglese che fu, perché anzi qui le abbreviazioni più fantasiose sono proprio una caratteristica della comunicazione formale. Quanto più in alto, quante più serie di lettere con in mezzo un doppio apostrofo, ad indicare che lì nascoste ci sono molte più lettere di quante se ne vedano. E l’immigrato anche dopo vent’anni di vita israeliana apparentemente solida si perde, butta giù la maschera e chiede lumi all’israeliano a volte divertito e a volte un po’ scocciato. Ma come, non è chiaro? No, evidentemente. Avessi tempo da perdere inizierei un movimento per la liberazione dalle abbreviazioni, dagli acronimi e da tutto quello che nasconde lettere che hano tutto il diritto di essere scritte anche se allungano il testo di una frase che ha in tutto perfino cinque parole. Movimento per la liberazione delle lettere nascoste.
Daniela Fubini
(13 giugno 2022)