Politica agraria

La guerra in Ucraina ha posto in evidenza con drammatica forza la necessità di cambiare la PAC, la politica agraria comune. In Europa (ma anche nel resto del mondo) tanti cambiamenti dovranno essere apportati.
La Seconda Guerra Mondiale, per non andare più indietro, ha dimostrato l’importanza della disponibilità di grano. I Paesi Alleati, nella guerra contro il nazifascismo, hanno ovviamente bloccato ogni fornitura di frumento alle potenze nazifasciste. In Italia Mussolini reagì con il lancio di una politica autarchica che cercò di sopperire al blocco con l’autoproduzione. Sono note e furono oggetto di scherno le iniziative di Mussolini che partecipava a torso nudo alla trebbiatura del grano: la “battaglia del grano”. Finita la guerra l’Italia continuò per qualche anno a incoraggiare la produzione locale di frumento, mediante una politica di “ammassi” del grano e sussidi alla coltivazione. Dopo pochi anni ci si rese conto che il finanziamento, oltre ad essere gravemente oneroso per le casse dello Stato, era privo di senso: perché finanziare con importanti esborsi per lo Stato una produzione che poteva arrivare a prezzi inferiori dal Canada o dall’Ucraina? Intanto, negli anni ‘50 veniva creata la Comunità Economica Europea che diveniva titolare di una politica agraria comune, la PAC appunto, che subentrò ai finanziamenti nazionali. Inizialmente la Comunità si trovò a dover gestire una grande produzione di frumento, organizzando anche i relativi depositi delle grandi masse di frumento necessarie alla nutrizione della popolazione del Continente. I costi furono assai elevati e anche fuori mercato: i sussidi furono assai onerosi per le casse publiche e si sommarono ai costi di gestione di una immensa produzione del Continente. Come ridurli? Non volendo incidere sul reddito degli agricoltori fu deciso di diminuire le spese di gestione del prodotto. Agli agricoltori vennero mantenuti sussidi, a condizione che…non producessero derrate, che potevano essere acquistate più economicamente in Canada o in Ucraina. Addirittura fu istituito l’obbligo di “non coltura”: condizione per ricevere il sussidio era quella di non coltivare almeno una parte dei propri terreni. In questo modo gli agricoltori continuavano a ricevere un importante sussidio al reddito, ma si eliminavano le spese per la gestione del prodotto. Una politica apparentemente paradossale: pagare per un “non prodotto”, ma economicamente perfettamente logica. Oggi però gli eventi in Ucraina suggeriscono un ulteriore cambiamento. Senza ritornare alle mitiche “battaglie del grano” proposte dalla propaganda fascista, occorrerà ripensare la PAC. Utilizzare i terreni disponibili nei Paesi dell’Unione Europea per produrre il frumento necessario a nutrire i suoi abitanti ridiventa logico. È (o potrebbe essere) meno costoso acquistare il frumento prodotto all’estero, ma che “costo” avrebbe l’incertezza dell’ approvvigionamento?
La sicurezza della fornitura ha un prezzo che conviene pagare, piuttosto che trovarsi in balìa di despoti pazzi o quasi. I responsabili della Politica agraria dell’Europa dovranno mettere nel calcolo anche questi elementi di incertezza per garantire la sicurezza alimentare dei popoli del Continente. Quindi niente più “non coltura”, ma utilizzazione di tutti i terreni possibili per garantirci il pane. Al momento in cui l’attacco militare fu scatenato l’ordinamento colturale dell’anno era troppo avanzato per poter essere cambiato. Ma da adesso al prossimo autunno il tempo è sufficiente per rivedere le scelte colturali divenute ormai tradizionali: speriamo soltanto che il tempo disponibile non venga dissipato in una vana speranza di eventi improbabili.

Roberto Jona, agronomo

(16 giugno 2022)