Pagine Ebraiche, l’intervista
“L’arte di cucinare alla giudia”
Food writer e fotografa, Benedetta Jasmine Guetta è nata a Milano ma vive a Santa Monica, in California. Nel 2009 ha cofondato www.labna.it, sito specializzato in cucina italiana ed ebraica. Da allora ne racconta le meraviglie e ne insegna i trucchi a un numero sempre crescente di suoi adepti. È apparsa su numerose testate in Italia e all’estero ed è stata coautrice di due volumi in italiano prima di dedicarsi a Cooking Alla Giudia. A Celebration of the Jewish Food of Italy, il suo primo libro di cucina in inglese.
Si potrebbe sostenere che tutto sia iniziato con una domanda: “Ma la labna è formaggio o yogurt?”. Benedetta Jasmine Guetta e Manuel Kanah, che gestiscono il blog di cucina omonimo rispondono che si tratta di un formaggio fatto di yogurt. La labna, da cui il blog prende il nome, è un formaggio acido tradizionale, la cui ricetta – molto semplice – viene tramandata di generazione in generazione. “È un piatto tipicamente mediorientale: l’ho trovato in Turchia come in Israele – magari con nomi diversi, ma la pietanza è la stessa”. Piatti tradizionali e trasmissione di generazione in generazione: sono queste le idee che hanno guidato la strada percorsa da Benedetta Jasmine Guetta, dalla fondazione del blog nel 2009 alla pubblicazione negli Stati Uniti di un libro, ovviamente di cucina, che sta avendo un successo notevole. È stato celebrato da personaggi del calibro di Martha Stewart e Nigella Lawson. Ci sono la passione per la cucina, per la quale ha scelto di lasciare un lavoro più “tradizionale”, il recupero delle tradizioni, la volontà di salvare ricette antiche e il gusto per i sapori del Medio Oriente, tratti inconfondibili di un blog il cui nome, in realtà, è stato scelto quasi per gioco: “La labna è il cibo preferito di Manuel, che ha il vizio di comprare domini che corrispondono a parole un po’ a caso… ora forse sceglierei altro, ma labna suona bene, è corto, è simpatico”.
Alla cucina sei arrivata prima della nascita del blog?
Sì, certo. Ho una mamma che cucina bene, è una cosa che diverte entrambe. In realtà ci siamo sempre contese la cucina… Poi con Manuel Kanah abbiamo iniziato a organizzare lezioni di cucina. Prima in ambito comunitario, a Milano: attività per i giovani, o in occasione delle feste, per lo shabbat. Poi visto che avevano successo abbiamo fatto corsi anche per altri, fuori, e abbiamo aperto il nostro blog come conseguenza. Era questo soprattutto, all’inizio: una sorta di archivio delle nostre ricette, in modo che chi aveva provato a fare qualcosa con noi potesse poi ritrovarle facilmente.
E all’inizio non c’era un focus specifico…
Assolutamente no. Ma a un certo punto è stato evidente che c’era più interesse per le ricette ebraiche. Allora di blog non ce n’erano tanti, era il 2009, erano tutti molto diaristici. Continuavano ad arrivare domande sulle cose ebraiche, e labna ha iniziato ad avere questa reputazione di “blog delle cose ebraiche”. Noi ci siamo limitati ad assecondare qualcosa che non avevamo previsto, fondamentalmente perché era quello che chiedevano i lettori.
Vi sentite un punto di riferimento?
Ci siamo ritrovati a esserlo, nostro malgrado, per molti che di ebrei ed ebraismo non sapevamo nulla. Persone che si sono rapportate a noi con genuina curiosità, anche perché visto che gli ebrei italiani non sono particolarmente religiosi, o non lo sono in modo vistoso, mancano le occasioni per fare quelle domande che hanno iniziato a rivolgere a noi su ebrei ed ebraismo, sulle tradizioni e sulle feste. Siamo la rappresentanza culinaria degli ebrei… io non mi sento poi un’ottima rappresentante, ma insomma mi è capitato questo ruolo. E cerco sempre di spiegare le cose chiaramente, come faccio per le ricette. Poi attraverso il blog è arrivato più interesse ancora, e sono nate tante opportunità di lavorare con altre persone, come per esempio la collaborazione con Miriam Camerini per il suo libro Ricette e Precetti.
E l’idea di scrivere un libro tutto tuo, invece, come è nata?
Mi piace pensare che ci sia un momento preciso in cui ho deciso. Volevo fare i biscotti di Pesach, ho cominciato a chiacchierare con una signora, poi con un’altra, e improvvisamente mi è presa l’ansia che le ricette non venissero tramandate. A Venezia per esempio sono in pochi a farli, una volta sola all’anno. Lì ho iniziato a pensare che le ricette potrebbero andare smarrite: nel giro di un paio di generazioni potrebbero essere perdute. È importantissimo invece mantenere una traccia di come dovrebbero essere, fotografandoli per esempio.
E questo non capita solo per i biscotti di Pesach.
Ovviamente. Il prosciutto d’oca, per esempio, mi sembra siano in due a saperlo fare. Parlo di persone in grado di farlo in casa, comprandosi (o allevando) un’oca. Sono cose di valore, poco documentate e a rischio di essere perse per sempre, così mi sono chiesta se poteva avere senso farne un libro. Mi sono resa conto per esempio che in inglese esistevano già alcuni volumi, ma non sono rappresentativi della varietà e della ricchezza della cucina ebraica italiana. Con i bellissimi libri italiani non si può cucinare davvero, sono fatti per chi conosce i sapori, i profumi, e sa quale deve essere il risultato.
La soluzione?
Raccogliere, documentare tutto il possibile… sono stata al Cdec, il Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano. E ho chiacchierato per ore con molte anziane signore diverse comunità. Ma non basta: se non avessi avuto una super editor probabilmente avrei scritto anche io in maniera da rendere tutto inutile.
In che senso?
Esiste una disciplina, nella scrittura delle ricette. Mi sono dovuta imporre un rigore che non conoscevo. In Italia forse avrei potuto dare per scontate più cose, ma non ne sono così sicura. E in America c’è una concezione del lavoro diversa: c’era un vero gruppo di lavoro, tutti hanno contribuito al prodotto finale. Il risultato è migliore, lavorando così, ci sono più occhi, più controlli, e anche più cura…
Ma c’è qualcosa che avresti voluto fosse diverso, nel libro?
Sì, in realtà. Avrei voluto mettere molte più fotografie. Le immagini sono un grande aiuto quando magari non sei sicuro di quale debba essere il risultato. Però ci sono ricette che arrivano da quasi tutta Italia, alcune non penso si sappia neppure che hanno un’origine ebraica. Esiste molto materiale su quanto gli ebrei abbiano influenzato la cucina italiana anche per ricette che non sono considerate tradizionalmente ebraiche. Raccontano come le due culture si siano intrecciate e mi piaceva l’idea di rivendicarne l’identità. E alla fine tutto questo materiale è diventato un libro, anche se non era quello che avrei voluto scrivere, avrei voluto fare qualcosa sulla cucina ebraica libica, quella di casa mia.
E invece?
Qui tutti pensano che mettere insieme la cucina ebraica (ashkenazita) e quella italiana deve per forza portare a un risultato eccellente, non può esserci una combinazione migliore, lo considerano ovvio e scontato… E al mio editore deve essere sembrata una nicchia interessante. E io la sentivo come un’urgenza, qualcosa che aveva senso dal punto di vista culturale.
Come è stato accolto il libro?
Siamo ancora in fase di lancio, è presto per dirlo, ma è pazzesco quanto qui piacciano la cultura, le cose italiane, tutte.
Per l’ebraismo a tuo parere c’è lo stesso interesse?
Assolutamente sì, e va detto che gli ebrei americani si sentono molto in dovere di sostenersi a vicenda. C’è molto “entusiasmo ebraico”, in un certo senso, e di cucina italiana è già stato scritto tanto, l’aspetto ebraico in qualche modo attrae di più. E tantissimi si sorprendono che ci siano ebrei in Italia… Non ne sanno nulla, al limite conoscono i carciofi alla giudia, che mi hanno costretto a mettere in copertina.
Non mi starai dicendo che non ami i carciofi alla giudia?
No, ma ci sono cose molto più interessanti dei carciofi, che sono diventati un tormentone. Avrei scelto qualcosa che mi piace, non necessariamente un piatto noto. Di quelle specificamente italiane penso avrei scelto lo stracotto, lo metti a cuocere e lo lasci andare… È perfetto per shabbat, puoi farci mille cose. Il giorno dopo è ottimo, e con gli avanzi puoi ancora condire una pasta. È un piatto generoso. Come è giusto che sia.
Ada Treves
(19 giugno 2022)