Pluralità identitaria
Sembra strano, forse, ma uno dei problemi più dibattuti nel mondo ebraico, almeno dall’emancipazione e dell’incontro con la modernità, ma anche prima se pensiamo a Giuseppe Flavio o a Spinoza, è stato quello della natura dell’identità ebraica. Che cosa determina l’essere ebrei? Quali sono, per dirla con un saggio recente di Sergio Della Pergola, i “marcatori dell’identità”, e qual’è il loro rispettivo peso? L’osservanza tout court ha smesso da molti decenni di esserlo, l’adesione al sionismo lo è diventata, almeno in Italia, solo dopo la Shoah, e allora? In un mondo ebraico caratterizzato da risposte diverse a questo problema, ma anche da prospettive diverse sul ruolo e il compito dell’ebraismo che molto hanno a che fare con l’identità (diaspora/Israele, universalismo/ particolarismo e via discorrendo), come collocarci? Per gli ebrei tedeschi degli ultimi decenni dell’Ottocento, antenati della grande cultura ebraica del Novecento, l’identificazione identitaria passava attraverso la storia, la loro storia, che studiavano e coltivavano negli archivi e nelle conferenze. Una domanda che formulò, pur senza rispondervi (ma porla è già una sorta di risposta), Sigmund Freud nell’introduzione all’edizione in ebraico di Totem e Tabù, nel 1930. E che negli anni Cinquanta intrigò Ben Gurion al punto da consultare 50 saggi per definire che cosa fosse l’identità ebraica. Ma i casi sono infiniti.
Insomma, una gran varietà di risposte. Come è giusto che sia in un popolo sparpagliato per secoli fra le nazioni, influenzandone la cultura ed essendone a sua volta influenzato. Credo che questa pluralità rappresenti per noi ebrei un arricchimento da non perdere, e forse proprio una delle nostre caratteristiche identitarie più interessanti.
Anna Foa, storica