Oliver Sacks e il senso dello Shabbat

Dai misteriosi sogni musicali che ispirarono Berlioz, Wagner e Stravinskij, alla possibile amusia di Nabokov, alla riscoperta della “enorme importanza, spesso sottostimata, di avere due orecchie”. Musicofilia. Racconti sulla musica e il cervello, pubblicato in Italia da Adelphi, è uno dei libri più importanti del grande neurologo inglese Oliver Sacks (1933-2015). C’è anche questo straordinario testo, da cui è stato tratto un brano, tra le proposte d’esame ai maturandi italiani. Un omaggio a uno dei più brillanti pensatori della contemporaneità, distintosi in una famiglia di per sé eccezionale. Dalla madre Muriel, una delle prime donne-chirurgo al mondo, al cugino Robert John Aumann, Premio Nobel per l’economia nel 2005, all’altro suo cugino Abba Eban, che fu ministro degli Esteri e dell’Educazione dello Stato di Israele. Rav Jonathan Sacks, l’autorevole rabbino e pensatore scomparso nel 2020, era suo nipote.
Una carriera ad altissimo livello, con molti libri noti anche al pubblico italiano e un toccante commiato sulle pagine del New York Times, dove poche settimane prima di morire apparve un articolo incentrato sul suo rapporto con l’ebraismo, l’identità e lo Shabbat.
“Mia madre e i suoi 17 fratelli e sorelle ricevettero un’educazione ortodossa”, la sua testimonianza al Nyt. “In tutte le fotografie mio nonno porta la kippah, e mi hanno detto che se gli cadeva, di notte, si svegliava. Anche mio padre proveniva da un ambiente ortodosso. Entrambi i miei genitori erano molto consapevoli del Quarto Comandamento («Ricordati del giorno di sabato per santificarlo»), e lo Shabbat (Shabbos, come lo chiamavamo noi, ebrei lituani) era un giorno completamente diverso dal resto della settimana. Nessun lavoro era permesso, né guidare, né usare il telefono; era proibito accendere una luce o una stufa. Essendo medici, i miei genitori facevano delle eccezioni. Non potevano staccare il telefono o evitare del tutto di guidare; dovevano essere disponibili, se necessario, per vedere i pazienti, o operare, o far nascere dei bambini”.
Sacks scriveva questo pensiero nella fase terminale della malattia: “Debole, col fiato corto e i muscoli una volta sodi sciolti dal cancro, trovo che i miei pensieri, non sulle cose soprannaturale o spirituali, ma su cosa si intende per vivere una vita buona e utile, abbiano provocato un senso di pace dentro di me. Scopro che i miei pensieri vanno allo Shabbat, il giorno di riposo, il settimo giorno della settimana, e forse il settimo giorno della nostra vita, quando possiamo sentire di aver fatto il nostro lavoro, e di potere, in buona coscienza, riposare”.