Pubblicare il Male,
studiosi a confronto
La pubblicazione in Francia di Historiciser le mal, un’analisi critica del Mein Kampf, ha suscitato un intenso dibattito. Qual è l’interesse euristico di queste edizioni? Possono avere un valore didattico specifico? Possono contribuire a smascherare l’intero discorso antisemita e a mostrarne l’incoerenza? Oppure a prendere piena consapevolezza della sua violenza per difendersi da essa? Oppure, al contrario, la frequentazione della fonte non rischia di condurre ad una comprensione sotto forma di giustificazione?
Domande cui si è cercato di dare una risposta durante un incontro incentrato sul tema “Pubblicare i discorsi di odio” organizzato ieri a Roma da Pierre Savy e Laura Pettinaroli, rispettivamente Direttore degli studi per il Medioevo e Direttrice degli studi per le Epoche moderne e contemporanee dell’École française. Organizzato in collaborazione con il Deutsches Historisches Institut di Rom e l’Institut français – Centre Saint-Louis, l’incontro ha visto l’intervento di studiosi di grande livello. Tra loro i due curatori dell’edizione critica francese, Florent Brayard (EHESS CRH, Parigi) e Andreas Wirsching (Institut für Zeitgeschichte, Monaco di Baviera), ma anche Martin Baumeister (Deutsches Historisches Institut in Rom), Valeria Galimi (Università di Firenze), Antoine Germa, Fabien Théofilakis (Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne CHS) e Nina Valbousquet (EFR).
L’idea – ha spiegato Savy, curatore di una sontuosa Storia mondiale degli Ebrei pubblicata da Laterza con il contributo di Anna Foa – è di aprire una riflessione ancora più ampia sul significato variamente declinato di “pubblicare il Male”. Va fatto? Non va fatto? Interrogativi che per lo studioso sono diventati dirimenti da quando, nel 2015, si è occupato in prima persona del libello antisemita “Degli ebrei e delle loro menzogne” di Martin Lutero. Più o meno nello stesso periodo in Italia il quotidiano Il Giornale si accingeva a regalare ai suoi lettori, attraverso una manovra editoriale spregiudicata, il Mein Kampf. Un’iniziativa che aveva suscitato reazioni indignate anche nel mondo ebraico e che in Francia, almeno nel modo in cui è stata proposta, “non si sarebbe potuta realizzare con altrettanta facilità”.
Le relazioni dei conferenzieri hanno fatto emergere punti di vista e prospettive di grande interesse. Tra gli altri Galimi ha posto l’accento su un’edizione tra le più inquietanti del Mein Kampf: quella a cura di Bompiani, la cui traduzione fu svolta nel ’34 dall’avvocato e docente ebreo Angelo Treves. Il testo più antisemita di ogni epoca tradotto da un ebreo sotto un regime che presto l’avrebbe tradito con leggi razziste e avrebbe collaborato attivamente alla macchina dello sterminio. È successo anche questo nella storia, drammatica, del Mein Kampf.