Israele e il Premier Lapid
Da oggi inizia ufficialmente l’incarico di Yair Lapid alla guida d’Israele. Sarà infatti lui a traghettare il paese fino alle prossime elezioni del 1 novembre. Ieri ha sostituito l’alleato Naftali Bennett come nuovo Primo ministro, ringraziandolo e chiamandolo “fratello Naftali”. Mentre quest’ultimo ha annunciato che lascerà per il momento la politica, Lapid si prepara a sfidare alle urne l’avversario Benjamin Netanyahu nelle vesti di Premier. Avrà, scrive il Foglio, “un palcoscenico privilegiato per la sua campagna elettorale, sarà lui al fianco del presidente americano Joe Biden a presenziare a incontri storici sul futuro delle relazioni tra Israele e i paesi del medio oriente”. Rispetto alla politica nazionale, il quotidiano evidenzia come il rischio è che diventi ancora una volta una lotta personale, “un Lapid contro Netanyahu, un noi contro lui, e possa nascere una nuova coalizione legata soltanto dalla necessità di cacciare o aiutare Bibi e non di dare stabilità alla politica di Israele”. Il Giornale definisce la campagna elettorale come uno “scontro infuocato” tra i due leader. Descrive le storie politiche di Lapid e Netanyahu e prevede che sarà “una campagna negativa, molto negativa. E se qualche evento drammatico non cambierà la situazione, non è detto che Israele uscirà dall’impasse il 1° novembre”. Secondo i sondaggi, ad oggi, nessuno avrebbe la maggioranza.
Missili su Odessa. Nella notte tra giovedì e venerdì la Russia ha attaccato con due missili una città vicino a Odessa, uno dei principali porti ucraini sul Mar Nero. È stato colpito un condominio di nove piani e un centro ricreativo: sono state uccise almeno 17 persone, tra cui 4 bambini, e ne sono state ferite più di 30.
La Nato del Medio Oriente. La guerra in Ucraina sta continuando a ridisegnare gli equilibri mondiali. Mentre la Russia si lega sempre più all’Iran – Putin ha incontrato Raisi in Turkmenistan -, si consolida l’impegno per far rafforzare il fronte mediorientale anti-Teheran. O, nelle parole del re giordano Abdullah II, “una Nato del Medio Oriente”. Un’alleanza che può già contare sui paesi che hanno siglato gli Accordi di Abramo con Israele. “Secondo il Wall Street Journal, interessati a una Nato locale assieme allo Stato ebraico ci sarebbero Giordania, Egitto, Bahrein ed EAU, che hanno già rapporti diplomatici con Israele. – riporta Libero – L’alleanza potrebbe essere estesa anche all’Arabia Saudita, che da mesi permette ai voli civili israeliani di sorvolare il suo territorio, al Sudan, che ha riallacciato i rapporti con Gerusalemme e a sorpresa anche il Qatar, l’emirato che all’Europa fornisce moltissimo gas naturale ma anche molto imam che professano il radicalismo islamico”.
La minaccia di un’operazione turca. In Medio Oriente si guarda anche a cosa accade tra Turchia, Siria e resistenza curda. Repubblica racconta di come la Turchia cerchi di approfittare del suo ruolo nella Nato per ottenere da Finlandia e Svezia – in cambio del sì definitivo al loro ingresso nell’Alleanza atlantica – la consegna di decine di rifugiati curdi accusati di far parte del Pkk. “Soltanto quando Svezia e Finlandia manterranno le loro promesse ratificheremo nel nostro Parlamento il loro ingresso nella Nato”, ha dichiarato Erdogan, che nel frattempo sembra voler avviare una campagna militare contro i curdi nel nord della Siria. Potrebbe iniziare, spiega Repubblica, attorno al 25 luglio. “Per resistere ai turchi, i curdi siriani sono pronti ad alleanze variabili e a compromessi d’emergenza con chiunque: con gli americani, con i russi e persino con il regime di Assad”, evidenzia il quotidiano. Nel mentre proprio il regime siriano, praticamente uno stato vassallo di Mosca, ha annunciato che riconoscerà l’indipendenza e la sovranità delle due repubbliche separatiste di Lugansk e Donetsk in Ucraina.
Macron e l’estradizione dei terroristi. Il Corriere della Sera racconta come all’indomani del “no all’estradizione” pronunciato dalla magistratura francese, il presidente Macron è tornato ad auspicare che i dieci ex terroristi rifugiati da anni in Francia “siano giudicati sul suolo italiano: è il rispetto che dobbiamo alle famiglie delle vittime e alla nazione italiana”. A proposito di Francia, su Repubblica invece Tahar Ben Jelloun torna sulla sentenza di condanna per gli imputati del processo degli attentati di Parigi. “Dopo la collera, l’indignazione, dopo le lacrime e i lutti, la Francia, in quanto Stato di diritto, ha organizzato un processo in cui tutte le regole del diritto, della giustizia e della democrazia sono state rispettate. In altri Paesi, questi individui sarebbero stati condannati a morti in poche ore e giustiziati seduta stante. Ma la Francia – scrive Jelloun – ha abolito la pena di morte e difende con tutti i mezzi i valori della Repubblica. Questi valori – la presunzione di innocenza per gli imputati, il diritto a essere difesi, giudicati senza pregiudizi, senza discriminazione – i terroristi li calpestano e li disprezzano”.
Segnalibro. Un viaggio in Lituania è “un passaggio in luogo perduto, cancellato, dove alcune vestigia sono rimaste e, ostinatamente, accendono la fantasia dei ricordi”. Lo scrive Francesco Cataluccio nel suo nuovo libro Non c’è nessuna Itaca (Humboldt), presentato oggi da Marco Belpoliti su Repubblica. Tra queste luoghi perduti, c’è anche un passato ebraico. “Fino al 1939 – ricorda Belpoliti – Vilnius era chiamata la ‘Gerusalemme del Nord’ per la presenza di un’importante comunità ebraica distrutta dalle successive occupazioni succedutosi nel corso della guerra mondiale. Così l’esilio e la nostalgia sono gli argomenti principali della letteratura lituana, una lingua di remote origini proto-europee, parlata oggi da tre milioni di abitanti”.
Daniel Reichel