“Marconi cacciò mio padre perché ebreo”
“Certo che sono felice dello stop alla scultura di Guglielmo Marconi a Cardiff. Tutti devono sapere che allontano mio padre dalla sua azienda solo perché ebreo”. Ad affermarlo a Repubblica, Esther Rantzen, 81 anni, ex giornalista della Bbc. Il padre, Henry Barnato Rantzen, era un ingegnere elettronico che lavorò per la Marconi’s Wireless Telegraph Company in Gran Bretagna. Finché non “venne allontanato o fu costretto a dimettersi, solo perché era ebreo. – afferma la figlia – Non ho documenti che provino quale delle due, ma sul motivo lui non ha mai avuto dubbi e me lo ha sempre detto. Credo che accadde lo stesso anche ad altri colleghi della sua stessa religione”. Di recente la città di Cardiff ha sospeso la realizzazione di una statua in onore di Marconi per approfondire i suoi legami con il fascismo e con l’antisemitismo. “L’immagine popolare benigna di lui nel vostro Paese mi ha sempre stupita.- afferma Rantzen – Ho sempre saputo che Marconi fosse fascista e antisemita”. “Del resto, Hitler non mandò una corona di fiori al suo funerale?”.
Il futuro del Donbass. Rispetto all’invasione russa in Ucraina, l’esercito di Putin starebbe completando l’occupazione delle intere regioni di Donetsk e Lugansk. A riportarlo, il corrispondente del Corriere Fabrizio Dragosei. “II capo della Cecenia Ramzan Kadyrov, uno dei più accesi sostenitori della ‘guerra totale’ contro il vicino, – scrive Dragosei – ha annunciato che i suoi sono arrivati nel centro di Lysychansk, dove da giorni si combatte ferocemente. Kiev smentisce che la città sia caduta, ma anche se ciò fosse vero, sarebbe solo questione di ore. Nel frattempo, a Kremenchuk il conto definitivo delle vittime nel centro commerciale bombardato è salito a 21 (e 66 feriti)”. Sempre sul Corriere, la testimonianza di chi cura le donne violentate dai soldati russi. Nello Scavo, corrispondente di Avvenire, parla invece del racconto di un soldato di Odessa, Isaac, che ha chiesto al suo rabbino “se poteva combattere anche di sabato. Non vuole riferirci la risposta. Ma anche ieri Isaac era al fronte e tornando ha citato un altro Isaac, quel Babel che attraverso i Racconti di Odessa ci ha consegnato su pagine a volte dure e altre poetiche lo spirito della città dalle mille leggende. ‘Io piango per le api. Le api vengono sterminate dagli eserciti in guerra’, scriveva Babel, citato a memoria dal giovane Isaac”.
La sicurezza del Mediterraneo allargato. Tra gli obiettivi emersi dal summit della Nato a Madrid, dove si è parlato di contrastare la minaccia russa e di rispondere alle sfide cinesi, c’è anche il rafforzamento della sicurezza del “Mediterraneo allargato”, dal Nord Africa al Medio Oriente. A scriverlo, il direttore di Repubblica Maurizio Molinari, ricordando alcune delle minacce comuni di questa vasta area. L’aggressività iraniana, ad esempio. A riguardo, scrive Molinari, sul tavolo Nato c’è un’ipotesi “che fra Paesi arabi e Israele possa nascere una stretta collaborazione militare”. Anche perché l’Alleanza atlantica è “interessata ad avere partner regionali con cui costruire un’architettura di sicurezza comune per contenere russi e cinesi nel ‘Mediterraneo allargato’”.
Revisionismi. Dure condanne da parte del mondo ebraico, d’Israele e della Polonia per l’ultima uscita di Andriy Melnyk, ambasciatore ucraino in Germania, che ha difeso il leader nazionalista ucraino Stepan Bandera, sostenendo che “non fu un assassino di massa di ebrei e polacchi”. “La dichiarazione dell’ambasciatore ucraino è una distorsione dei fatti storici, sminuisce la Shoah ed è un insulto a coloro che sono stati uccisi da Bandera e dal suo popolo”, la replica dell’ambasciata israeliana a Berlino. Il ministero degli Esteri ucraino ha preso le distanze dalle dichiarazioni del suo diplomatico. Del caso parlano oggi Fatto Quotidiano e La Verità, ricordando come Melnyk si sia contraddistinto in questi mesi per toni molto aggressivi e attacchi alla leadership tedesca.
Torino, storie di famiglia. Repubblica Torino presenta un ampio ritratto-intervista con il presidente della Comunità ebraica della città e del Museo dell’Ebraismo italiano e della Shoah (Meis) di Ferrara, Dario Disegni. Nel colloquio – parte di una rubrica intitolata “uomini e donne illustri” – Disegni ricorda la storia di famiglia, tra cui quella del nonno rabbino capo di Torino, e i segni lasciati dalle persecuzioni nazifasciste. “Mio padre ha tenuto per sé il peso della Shoah, quando poi, siamo cresciuti (ho due fratelli Ariel e Giulio) ed eravamo oramai al liceo, ci ha raccontato tutto”. Rispetto al lavoro con il Meis, Disegni ne sottolinea il ruolo di polo culturale per raccontare storia e tradizioni dell’ebraismo italiano. “Ancora oggi – afferma – la storia della cultura ebraica non è conosciuta e chi invece la conosce identifica spesso gli ebrei solo con la Shoah. Ricordo che ci sono 2200 anni di storia. Per secoli gli ebrei hanno partecipato e contribuito all’evoluzione del nostro Paese”.
Responsabilità svizzere. Il Canton Turgovia deve chiedere scusa per aver respinto centinaia di ebrei in fuga dalla persecuzione tra il 1933 e il 1945. A chiederlo, Daniel Frischknecht, deputato e presidente del partito svizzero cristiano-conservatore UDF. Ricordando i respingimenti di allora, Frischknecht si è augurato che l’attuale Consiglio di Stato elvetico “riconosca ufficialmente e formalmente i torti del Cantone e presenti le sue scuse”. All’interrogazione presentata da Frischknecht, racconta il settimanale de La Stampa Specchio, “il governo svizzero ha risposto ammettendo che le autorità turgoviesi finora non avevano mai ammesso le proprie colpe per le pratiche della polizia cantonale nei confronti degli stranieri in quel periodo”. Per il deputato ora il prossimo passo devono essere le scuse ufficiali alla comunità ebraica.
Le indagini sul caso Shirin Abu Akleh. L’Autorità nazionale palestinese farà esaminare agli Usa la pallottola che ha ucciso la reporter di al Jazeera, Shirin Abu Akleh, durante un’operazione antiterrorismo israeliana a Jenin, in Cisgiordania (Avvenire). In merito al conflitto tra israeliani e palestinesi, l’Espresso fa parlare l’artista partenopeo Jorit, che attacca Israele dove non potrà tornare per dieci anni. Noto il suo arresto nel 2018 a Betlemme mentre completava un murales dedicato a Ahed Tamimi.
Segnalibro. Il Fatto Quotidiano intervista lo scrittore Alessandro Piperno, in un colloquio in cui si parla del suo ultimo libro Di chi è la colpa e si ricordano le sue radici ebraiche. Il Domenicale del Sole 24 Ore presenta invece Non c’è nessuna Itaca. Viaggio in Lituania di Francesco M. Cataluccio, “racconto del Paese baltico attraverso tre celebri emigranti che sempre lo ricordarono con malinconia: il poeta Czeslaw Milosz, il regista Jonas Mekas e l’archeologa Marija Gimbutas”.
Arte e antisemitismo. Il Mart di Trento e Rovereto dedica una mostra ai dipinti di Julius Evola, filosofo tradizionalista noto per i suoi scritti antisemiti, vicino al fascismo e ancor più al nazismo. “Nell’introduzione al catalogo Vittorio Sgarbi, presidente del Mart, scrive che su Evola, pensatore molto amato nei circoli della destra esoterica, grava una damnatio memoriae che avrebbe impedito di coglierne il reale valore. Ma è davvero così? E inoltre opportuno porre le sue tele e il suo pensiero sullo stesso piano dell’opera di Vasilij Kandinskij e intitolare la mostra Lo spirituale nell’arte, citando il titolo della celebre opera dell’artista russo?”, si chiede Elio Cappuccio su Domani. La risposta di Cappuccio è no. “Nessuno cancella un pittore modesto”.
Daniel Reichel