Scegliere, non cancellare

I media ci hanno recentemente informato che la costruzione di un monumento dedicato a Guglielmo Marconi, padre della telegrafia senza fili e della radio nonché premio Nobel nel 1909, è stata sospesa e verrà probabilmente accantonata a Cardiff, nei cui paraggi (dall’isola di Flat Holm al largo della città, per la precisione) avvenne nel 1897 la prima trasmissione radiofonica in mare aperto. Sensata motivazione di questa scelta da parte del Comune di Cardiff l’adesione convinta ed entusiasta del grande scienziato italiano al fascismo sin dal 1923, il suo appoggio incondizionato alla conquista e alla colonizzazione dell’Etiopia, le sue marcate tendenze antisemite tese a isolare gli ebrei tra gli Accademici d’Italia (indirizzo messo in luce dalla storica Annalisa Capristo, che evidenzia le “e” con cui marcava i nomi dei membri israeliti). Il regime, del resto, lo ricompensò ampiamente, nominandolo nel 1927 presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche e nel 1930 presidente della Regia Accademia d’Italia (quindi automaticamente membro del Gran Consiglio del Fascismo), come si conveniva a una gloria nazionale – già peraltro ampiamente corteggiata dai governi pre-fascisti – che per interesse condiviso diveniva gloria fascista. Marconi insomma, certo scienziato illustre, non merita la dedica di un monumento perché sostenitore convinto della dittatura e perché già nel 1932 precocemente antisemita.
Tutto giusto, tutto condivisibile. Ma una questione resta aperta. Come la mettiamo con la “cancel culture”, la cui influenza aleggia con ogni evidenza sopra questa sacrosanta decisione? Non avevamo stabilito (io stesso, lo ammetto, lo affermavo con convinzione su queste colonne) che il modello della “cancellazione” è da ritenersi antistorico e aberrante, e dunque andrebbe bandito dal nostro modo di porci davanti al passato? C’è qualcosa da chiarire, evidentemente. Innanzitutto occorre ribadire che l’idea stessa di cancellare/azzerare a suon di abbattimenti le palesi ingiustizie del tempo trascorso e con esse quelle che oggi ci appaiono tali anche a causa di un cambiamento di sensibilità è insensata, dato che non si annulla ciò che è stato con un colpo di spugna o di piccone; e se è vero che “la storia è sempre storia contemporanea” (Benedetto Croce docet), è anche innegabile che noi qui ed oggi non siamo i signori della storia in grado di crearla e annullarla. Irrazionali e ingenue continuano dunque ad apparirmi la distruzione di statue, la triturazione di monumenti, la cancellazione di lapidi e analoghe reazioni di rifiuto di ciò che è stato. La storia (tutta la storia) è una lezione e anche le dediche inopportune o offensive hanno qualcosa da insegnarci. Altra cosa è però la scelta, compiuta ai nostri giorni, di ricordare un personaggio, una sua idea, un suo comportamento. Non siamo padroni del passato e degli orientamenti dei nostri predecessori, ma siamo padroni delle nostre attuali prese di posizione, e su queste mi pare lecito e addirittura sacrosanto che gli orientamenti etici di fondo, le posizioni morali, le considerazioni umane e le visioni politiche abbiano un peso significativo, anche a detrimento di determinati contenuti culturali/scientifici. In parole povere, nessuno potrà mai negare la grandezza scientifica di Guglielmo Marconi; ma il suo dichiarato sostegno al fascismo e il suo palese atteggiamento antisemita, con tutto ciò che queste due tendenze significano, ci danno il diritto morale di non erigere monumenti in suo onore.
Scrivo questo per una necessità personale di tornare a riflettere sulla questione monumenti/diritti umani? Evidentemente sì. A monte c’è forse una mia esigenza di compromesso, quando in gioco ci sono aspetti che coinvolgono gli ebrei e l’antisemitismo? Forse. Ma forse anche la convinzione che adottando la scelta di accettare consapevolmente il passato per quel che è stato, con tutto il suo insostenibile carico di male (il che non vuol certo dire approvarlo incondizionatamente!), e di rifiutare invece nel presente ogni omaggio attuale e futuro a chi quel male ha contribuito a realizzare sarà forse possibile trasformare la bambinesca “cancel culture” in una più matura “option culture”.
David Sorani

(5 luglio 2022)