Alex, che parlava sei lingue

Tutte le volte che mi reco per ricerche a Cracovia incontro il caro amico Christof Kulisiewicz, che è solito abbracciarmi ed esclamare a gran voce: “Hi Francesco, you again!”. Chiesi e ottenni da Christof gran parte del materiale raccolto in tutta Europa da suo padre Aleksander detto Alex; ma, cosa di gran lunga più importante, misurai la densità del grande e insostituibile contributo offerto da Alex alla letteratura musicale concentrazionaria in materia di criteri di ricerca, catalogazione e suddivisione del materiale cartaceo e fonografico.
Simpatico e loquace, Christof ha una padronanza assoluta della lingua inglese che insegna ogni estate presso un collegio in Germania; non esitò un attimo a farmi consultare il materiale che suo padre aveva stipato in un cottage estivo presso una foresta non lontana da Cracovia.
A differenza di altri figli distratti o quanto meno approssimativi nella conservazione del materiale del proprio genitore musicista, Christof è stato di una diligenza encomiabile ordinando cartelle, fogli, cassette e fotografie nonché suddividendole in base a tipologia e lingua.
Germanofono perfetto, suo padre Alex parlava correntemente quattro lingue e a Sachsenhausen arrivò a parlarne sei, italiano compreso; in brillante italiano asfaltò in una missiva una casa editrice di Bologna che dopo la guerra gli promise di pubblicare una selezione di canti creati nei Lager ma poi ritirò il progetto senza neanche riconsegnargli il materiale.
Un giorno arrivarono da Cracovia a Barletta sette giganteschi pacchi, era l’archivio di Alex Kulisiewicz in dotazione a Christof; una parte più vasta si trova presso la Kulisiewicz Collection dello United States Holocaust Memorial Museum di Washington DC.
Oggi, la mission è quella di “riunificare” i due tronchi della poderosa collezione.
Quando lo incontrai nuovamente nel 2017, Christof era appena uscito da un brutto periodo a causa di una forma di diabete che lo aveva costretto a limitare i suoi movimenti; era molto dimagrito ma non era affatto diminuita la sua vivacità e il suo impegno sulla materia.
“Alex, tu sei giovane, sei polacco, parli tedesco, tu sopravviverai”, disse a Kulisiewicz il direttore di coro ebreo polacco Rosebery d’Arguto (successivamente ucciso a Birkenau), dandogli istruzioni su quale sarebbe stato il suo destino: diventare l’archivio cerebrale dei musicisti di Sachsenhausen, antesignano del ciclopico archivio da lui assemblato nel dopoguerra.
Dotato di memoria straordinaria, Alex creò nel Lager 54 canti e imparò 716 canti altrui a memoria, dopo la Guerra ne raccolse centinaia; era anche molto solo in questa ricerca, come tutti i pionieri.
Un progetto editoriale con Józef Kropiński e Jan Tacina sulla produzione letteraria e musicale polacca nei Lager non andò in porto; è pur vero che erano gli anni della Polonia comunista e c’erano notevoli difficoltà anche di natura politica nell’affrontare simili problematiche.
In quegli anni Alex non fu in grado di convincere un solo editore a pubblicare una piccola antologia di 30 canti polacchi scritti in cattività; lasciò altresì nel cassetto il suo capolavoro letterario, 2.200 pagine di prolegomeni sulla musica scritta in prigionia durante la Seconda Guerra Mondiale.
Tante cose sono indubbiamente cambiate; non siamo ancora nell’era aurea della letteratura musicale concentrazionaria ma oggi Alex Kulisiewicz non sarebbe lasciato solo.
La Storia degli uomini non è fredda sommatoria di eventi cronologicamente contigui ma è un organismo vivente che inciampa, cade e si rialza più determinato di prima.
Alex ci ha consegnato un immenso patrimonio documentaristico e una magistrale lezione su tale ricerca; pochi ne comprenderanno l’importanza storica, alcuni cercheranno di ostacolarla o minimizzarla, sbatteremo contro muri oppure contro guitti seduti ai tavolini del bar dal pomeriggio a tarda sera a oziare e pontificare sul sapere altrui.
Un giorno tutti riconosceranno i sacrifici di chi ha messo la propria vita al servizio di questa ricerca come Alex; siamo dinanzi a una letteratura i cui profili si decifreranno tra 30 o persino 40 anni.
Ghetto, Lager, Gulag, POW Camp, Stalag, Oflag forniscono essi stessi le coordinate geografiche, politiche e antropologiche tali da rendere questa letteratura un unicum nel panorama generale della Storia della Musica ed estesamente del pensiero occidentale.
L’elemento che caratterizza tale letteratura musicale, paradossalmente, non è il genere né l’autore: è il luogo di cattività e deportazione.
E uomini come Alex Kulisiewicz che era giovane, polacco e parlava tedesco.
Lui, sì, sarebbe sopravvissuto.

Francesco Lotoro

(Nelle immagini: Christof Kulisiewicz, suo padre Aleksander)

(6 luglio 2022)