Brutti scenari

Se la notizia della cessazione (o anche di una riduzione) delle attività dell’Agenzia Ebraica in Russia fosse confermata ciò potrebbe riportare anche in questo ambito il mondo al ricordo della guerra fredda, e in particolare alla fine degli anni ’60, quando si presentò la questione dei “refusenik”. Ovvero, “quegli ebrei ai quali fu rifiutato il diritto all’aliyah”, o più in generale all’emigrazione fuori dai confini sovietici. Il pretesto per negare questo rifiuto era un antisemitismo di fondo, il fatto che gli ebrei fossero dei traditori e delle spie, anche solo potenziali, e che il loro trasferimento all’estero avrebbe potuto rivelare segreti di stato.
L’emigrazione ebraica dai paesi dell’ex blocco socialista seguì sempre degli alti e bassi, nell’immediato dopoguerra era quasi incentivata per poi incontrare degli ostacoli negli anni successivi. Emblematico era per esempio il caso della Romania comunista, paradossalmente l’unico paese sotto il Patto di Varsavia che non interruppe mai rapporti diplomatici con Israele. Gli ebrei qui furono una sorta di “merce di scambio”, era consentita una quota limitata di aliyot in cambio di aiuti economici da parte israeliana, nel settore agricolo e industriale soprattutto. Resta da augurarsi in ogni caso che quello dei refusenik sia solo un brutto ricordo, e non un altro “ricorso storico”. Mi viene più che altro in mente che una volta a un incontro in una comunità un relatore affermò che sia possibile riscontrare una corrispondenza tra il declino (in più ambiti) di uno stato e la riduzione o eventuale sparizione al suo interno della presenza ebraica. Se così fosse la Russia starebbe già presagendo dei brutti scenari per il suo futuro…

Francesco Moises Bassano

(8 luglio 2022)