Dossier Italkim
Da Haifa al moshav, l’altra Israele

Non c’è solo Gerusalemme nella prospettiva degli italkim. Anzi, la gran parte, vive altrove: soprattutto a Tel Aviv e nei dintorni. Ma c’è anche chi, come rav Michael Ascoli, ha fatto una scelta diversa. Nel suo caso Haifa. “La mia è stata un’Aliyah in due battute. Ci ho provato una prima volta nel 2004, stabilendomi in Israele per un periodo di circa tre anni. Poi sono tornato a Roma per un lasso di tempo equivalente. Infine, nel 2010, ho compiuto una scelta definitiva”. Una decisione ispirata “dai valori sionistici con cui sono stato educato”. Rav Ascoli, che opera in campo ingegneristico, trova Haifa “una realtà interessante, con il suo cocktail stimolante di religioni e popolazioni”. Eppure, nonostante il mosaico di identità che la compongono, “una città culturalmente ed ebraicamente non vivace; una delle poche, in Israele, con una tendenza demografica negativa”. Non esistono forme d’aggregazione specifiche per gli italkim. Da qui, racconta il rav, “la necessità di andare talvolta a Gerusalemme, al Tempio Italiano: un bisogno sia personale che culturale: è una tradizione, la nostra, che va mantenuta e trasferita alle generazioni successive”. Il rav cerca di farlo anche nella sinagoga ashkenazita che sorge nei pressi della sua abitazione. “Piace a tutti quando faccio la tefillah all’italiana…”. Un’altra prospettiva ancora è quella di Daniela Fubini, esperta di marketing e comunicazione d’origine torinese, che vive da qualche anno in un moshav. La sua terza tappa israeliana dopo l’originale approdo Gerusalemme e una più lunga residenza a Tel Aviv. “Sono cresciuta in una casa dove d’Israele si parlava continuamente, dove il sionismo era pane quotidiano. Mio zio, il fratello di mia madre, è caduto sul Sinai nella Guerra del Kippur”, spiega Daniela. La voglia di Aliyah le è venuta però altrove, negli Stati Uniti, “una mattina d’inverno del mio quarto anno di vita americana: il bisogno di Israele, da quel momento, si è fatto improcrastinabile”. Ogni lunedì, sul quotidiano online di Pagine Ebraiche, distilla preziose storie di vita locale. Una sorta di diario dal quale trasuda il profondo amore, pur con tutte le sue contraddizioni, che nutre verso Israele. Per prima cosa, sottolinea, “mi sono messa sotto con la lingua: non è stato semplice ma ad aiutarmi nell’intensità di studio richiesta per apprenderla è stata la mia formazione prima al liceo classico e poi in un’università competitiva come quella di Pisa; avevo già, diciamo, una certa impostazione mentale”. Il moshav è una realtà distante dai centri dove la vita degli Italkim è riuscita a strutturarsi. “Ma appena possibile cerchiamo di andare a fare uno Shabbat in rehov Hillel: è sempre un’esperienza speciale”. L’Italia è comunque presente nel suo vissuto quotidiano: “Ho un figlio piccolo, di appena un anno: con lui parlo solo in italiano”. C’è tanta Italia anche nel mondo dei kibbutzim. A Sasa, ad esempio, dove la romana Angelica Edna Calò Livne anima da tempo l’esperienza interculturale del teatro Beresheet La Shalom. “Al termine dei miei studi ho deciso che avrei dovuto seguire il mio sogno sionista, decisi dunque di trasferirmi a kibbutz Sasa, luogo in cui mi sono sentita a casa sin dal primo istante ed in cui tutt’ora, felicemente, abito”, una sua testimonianza a Pagine Ebraiche. “Ho sempre provato un grande amore per l’educazione, una vocazione, una sorta di missione in questo mondo. E questo – dice – perché solo attraverso l’educazione ai giovani possiamo sperare in un futuro migliore, possiamo fermare l’atroce conflitto che stiamo vivendo”.