Non proibire, ma dire
Si discute se si possa o meno esporre in mostra i quadri di Julius Evola e se, nel caso, si debba apporre un testo che spieghi al pubblico chi era l’artista in questione: uso abbastanza abituale in molte mostre ed esposizioni in cui il visitatore desidera non soltanto giudicare esteticamente un’opera, ma anche inserirla nel suo contesto storico.
In questo caso, come ben ha scritto Mirella Serri, e pochi l’hanno sostenuta forse per paura di essere considerati nemici della libertà artistica, l’artista è stato uno dei più importanti antisemiti della storia del Novecento. Sua la prefazione del 1937, un anno prima delle leggi razziste, ai famosi Protocolli dei Savi di Sion, uno dei libri che più nella storia grondano sangue, dove fra l’altro si sosteneva che non aveva importanza che si trattasse di un falso, dal momento che era un falso veridico: la madre di tutte le affermazioni negazioniste che ancora affollano i nostri sempre più poveri dibattiti. Non solo. Evola è stato nel dopoguerra il nume ispiratore di tutti i movimenti dell’ultra destra, vicino ai gruppi attivi nell’attacco alle istituzioni democratiche, sempre protetto dietro la complessità del suo pensiero, superfascista e non fascista così come durante la guerra era stato più nazista che fascista. Un pensiero il suo non a caso prediletto da Himmler.
Oggi, a quasi cinquant’anni dalla sua morte, a lui si ispira colui che è stato uno dei maggiori numi tutelari di Trump, Steve Bannon, e fra i suoi seguaci spicca l’ispiratore ideologico di Putin, Alexander Dugin.
Se questo era ed è Evola, dobbiamo impedire una mostra dei suoi quadri? nNn credo, anche se avrei maggiori esitazioni se mi si chiedesse se dobbiamo boicottare una mostra dei quadri di Adolf Hitler. Ma dobbiamo a chi quei quadri li visita, li guarda, forse vi si ispira, spiegare di chi si trattasse e chi ancor oggi siano i suoi discepoli. Non proibire, ma dire. Mi sembra davvero il minimo.
Anna Foa, storica