Il ritratto antisemita

Definire disgustoso l’articolo di Luigi Mascheroni su (o meglio, contro) David Parenzo apparso su “Il Giornale” del 4 luglio scorso è forse un eufemismo; è più adeguato qualificarlo come allarmante.
Non è difficile da rintracciare su internet; mi risparmio quindi l’improbo e sgradevole sforzo di riassumere un accumulo di velenose calunnie personali costruite su un’intelaiatura di squallido antisemitismo. Mi pare più interessante e più utile a comprendere il marciume dei nostri anni tentare di analizzare il processo che può condurre al riapparire sulle pagine di un nostro quotidiano di scritti analoghi a quelli che si leggevano alla fine degli anni Trenta del secolo scorso. E poi cercare di capire cosa significa e dove rischia di portarci tutto ciò, che si manifesta proprio quando con consapevolezza e convinzione stiamo cercando di erigere contro il pregiudizio e contro l’odio antisemita un argine massiccio di informazione storica e di cultura.
Alla base si situa la permanenza inscalfibile dello stesso pregiudizio, piattaforma resistente e impermeabile radicata nei secoli, fiume carsico che puntualmente riemerge di fronte alle crisi, ai momenti di malcontento, agli sfoghi di più o meno giustificata insoddisfazione/rabbia popolare. E come sappiamo si tratta di un tarlo che non affligge solo persone ingenue e impreparate, ma anzi si fa più insinuante negli individui dotati di cultura e ironia. Su questo zoccolo perenne si appoggiano altri elementi, che si accumulano uno sull’altro. Innanzitutto il fatto che il veleno del pregiudizio ha impedito di sondare davvero, di metabolizzare l’abisso senza fondo che lo stesso tarlo antisemita ha creato, rendendo difficile avvertire il peso delle sue distruzioni nel corso dei secoli sino al baratro della Shoah. Oggi, nonostante i giorni della memoria che si susseguono di anno in anno e le mille iniziative didattiche sul tema, l’evento è inevitabilmente più lontano, troppo lontano, e l’orrore che attanagliava le prime generazioni del dopoguerra o la volontà di capire che a partire dagli anni Settanta animava le domande rivolte dai giovani ai testimoni hanno lasciato purtroppo il posto a un ricordo vago, a una ricostruzione parziale e confusa. Su questo pallido e generico sfondo di rifiuto del Male (ma di un male generico), facilmente si innesta una mancata comprensione storica, e su di essa il dubbio, talvolta la negazione; in questo clima il pregiudizio riprende a operare. Paradossalmente, poi, quanto più ci sforziamo (meritoriamente e necessariamente) di tenere vivo il ricordo delle persecuzioni cercando di ricostruire e di far comprendere le ragioni e il modo della loro realizzazione, tanto più per opposizione alla vulgata della memoria oggi assai diffusa molti sembrano voler dimenticare o cancellare, disponibili a cedere di nuovo alle lusinghe del pregiudizio.
Nel nostro tempo di talkshow, di accesi e facili dibattiti politici televisivi, di personaggi pubblici al centro dell’attenzione mediatica (politici, scienziati, saggisti, filosofi, giornalisti) lo sdoganamento dell’antiebraismo raccoglie i suoi frutti anche a livello individuale. Cosa c’è di più immediato, semplice e gratuito del risorgente pregiudizio antisemita per distruggere un giornalista ebreo che ti è sgradito e vuoi mettere in ridicolo? Più che raffinati colpi di fioretto quelle di Mascheroni sono violente staffilate di sciabola, ma l’importante è ottenere l’effetto, cioè colpire il bersaglio. Peccato che credendo di pungere il bravo Parenzo Mascheroni infierisca involontariamente contro se stesso.
Dove gli stimoli perversi della distruzione dell’altro tramite il pregiudizio possano condurci è difficile dirlo. Forse alla perdita di ogni equilibrio nel giudizio e di ogni basilare rispetto del prossimo, difetto che probabilmente continuerà a manifestarsi attraverso l’accanimento contro le mille caratteristiche particolari e diverse che tutti i gruppi, per forza di cose diversi gli uni dagli altri, inevitabilmente hanno. E tra i tanti diversi, i primi a rischiare di nuovo saremo certo noi ebrei.
Anche perché, come sempre, siamo la cartina di tornasole dei rapporti sociali.

David Sorani