Ticketless – Il caso Evola
Vorrei aggiungere qualche pensiero alle giuste osservazioni di Anna Foa a proposito della mostra di quadri di Julius Evola al Mart di Trento. Il caso-Evola è una questione seria, ma assai poco per la storia dell’arte dove la critica è da tempo piuttosto concorde nel dire che fu un pittore alquanto modesto. Il caso-Evola è invece serio per la storia dell’antisemitismo italiano ed è spesso rimosso da chi se ne occupa. Dell’antisemitismo italiano Evola fu invece un protagonista indiscusso, forse, il solo rappresentante della via italiana al razzismo. “Razzismo spirituale”, diceva l’interessato cercando di distinguersi dal maggioritario razzismo biologico non solo tedesco. Mussolini in un primo momento inclinò a credergli e a pensare con lui di non avere nulla contro gli ebrei in carne ed ossa, ma di temerli come categoria spirituale, idea in sé, metafisica, riscontrabile pure in chi ebreo non era (gli inglesi, per esempio, altro popolo considerato senz’anima, materialista). In prossimità del 1938 il Duce lo allontanò da sé e prese un’altra strada, meno robusta filosoficamente, perché vide in lui un rivale potenziale, temeva la sua superiorità intellettuale come a suo tempo aveva temuto D’Annunzio, ma nei suoi discorsi l’influenza del razzismo spirituale si farà notare anche dopo il ’38. E viceversa Evola avrà buon gioco a dire poi fino alla morte che il suo era il vero antisemitismo, fasullo essendo stato quello del Duce.
La spiritualità delle idee, del resto, è una prerogativa della cultura italiana che precorre il fascismo e tocca altre grandi idee della modernità qui da noi sempre spiritualizzate, ma con esiti letali in ogni caso. Evola se ne servì a piene mani, in libri che non sono privi di fascino e hanno sedotto molti giovani. Le sue responsabilità ai tempi della RSI sono acclarate e a poco valsero le giustificazioni del dopoguerra, età in cui ha continuato ad avere moltissimi ammiratori perché quella sua teoria spiritualistica della superiorità mediterranea godeva di molta fortuna anche fuori della destra neofascista.
Nei miei bei verdi anni, nella stagione degli indiani metropolitani per intenderci, Nuova Destra e Nuova Sinistra trovavano spesso molti denominatori comuni e dietro questa comunanza di vedute l’ombra di Evola faceva spesso capolino (sue traduzioni firmate con pseudonimo trovavano per esempio ospitalità nei cataloghi editoriali della sinistra). Rispetto a Interlandi, Preziosi, Benigni e i vari giornalisti del 1938 c’era in effetti un abisso. Pittore mediocre, era tuttavia filosofo di qualità: conosceva bene il tedesco, tradusse e rese accessibili molti libri razzisti tedeschi e anche molti libri non razzisti. Non mi sembra che la storiografia sull’antisemitismo nel primo Novecento italiano abbia saputo misurare bene il veleno della fede evoliana. Una mostra di quadri mediocri temo non servirà molto a migliorare le cose.
Alberto Cavaglion