Primizie
Oggi godiamo di tanti esseri viventi (piante ed animali) che ci allietano, rinforzano il nostro organismo e facilitano la nostra esistenza sulla Terra, ma questa situazione non è sempre stata così ricca per noi. Esiste (è stata ricostruita da una serie di studi specialistici) una lunga storia dell’evoluzione delle piante e degli animali, dagli albori della Vita sulla Terra ad oggi.
Attualmente, nella nostra perenne distanza dalla natura, e con l’alterazione dei costumi naturali prodotta dalla globalizzazione, quasi non ci accorgiamo dell’arrivo alla nostra portata delle primizie, cioè dei primi prodotti dell’anno, ma nell’antichità questo era un momento di festa: quando i prodotti dell’anno arrivavano a maturazione era giusto rendere grazie al Signore. Di questo obbligo troviamo la menzione assai precisa ben tre volte nella Torah (Esodo 23,16 ; Levitico 23,17 e segg. Deuteronomio 26,2 e segg.).
Tra le piante che l’uomo ha “addomesticato” molto presto, ci sono i cereali. Chiariamo: l’orzo, tanto
per fare un esempio comune, è molto diffuso. L’Uomo, nel corso dei millenni ha osservato le piante
“selvatiche” e ne ha isolate alcune dall’ambiente coltivandole in appezzamenti protetti di terreno.
È il processo detto di “domesticazione” cioè le piante “selvatiche”, una volta sottratte all’ambiente selvaggio e sottoposte a cure agronomiche particolari, perdono forse un po’ la capacità di competere con altre specie per la conquista del territorio, ma, in compenso, riescono a sviluppare organi che forniscono prodotti utili all’Uomo.
Un secondo aspetto, molto importante e frequente nell’antichità preistorica, la scarsa stabilità della specie. Oggi le specie vegetali tendono a mantenere i loro caratteri: questo aspetto è favorito dalla limitata interfertilità: cioè il polline di una pianta è capace di fertilizzare (cioè di produrre embrioni e discendenza) solo all’interno della specie. Può capitare che il polline di una specie finisca sul fiore di un’altra, ma ogni specie ha meccanismi biologici e genetici che bloccano lo sviluppo di embrioni derivati da incroci con specie diverse. Nella preistoria questo era assai meno vero: potevano nascere discendenti da incroci tra specie differenti. L’eventuale debolezza di questi incroci veniva compensata dalle cure che l’Uomo somministrava a queste nuove specie, aiutandone la crescita e diffusione, in tutti i casi in cui queste presentassero caratteri di utilità maggiore rispetto a quelle dei genitori. Un “lavoro” di selezione durato millenni. Particolarmente importanti i risultati di incroci e selezione di specie che hanno portato alla comparsa e allo sviluppo del frumento: gli studi hanno dimostrato che dal progenitore “Triticum monococcum” (cromosomi:2n=14) si è arrivati all’attuale frumento con un patrimonio cromosomico triplicato (cromosomi: 2n= 42).
La presenza ripetuta ed incrementata dei cromosomi comporta un corrispondente incremento delle dimensioni della pianta e soprattutto del granello e del suo contenuto di farina, come avviene nel Triticum aestivum che ancora oggi coltiviamo e utilizziamo per produrre il pane e la pasta.
Lo studio combinato della cellule delle piante selvatiche attuali e dei reperti preistorici, hanno consentito di delineare il percorso sopra accennato di una pianta fondamentale come il frumento e di capire quali siano stati i suoi progenitori.
Non abbiamo riscontri, né storici né protostorici, che ci permettano di collegare questa storia evolutiva con quella dei Patriarchi narrata nella Torah, però è probabile che si sia sviluppata in parallelo al racconto biblico. La mia opinione, del tutto personale, è che il contrasto tra Giuseppe e i suoi fratelli non fosse tanto per la questione del bell’abito che il padre (Giacobbe) gli aveva confezionato, bensì per motivi “aziendali”: i fratelli erano pastori e puntavano sull’allevamento, mentre Giuseppe aveva intravisto le possibilità di sviluppo della coltivazione di cereali. Si trattava di un’innovazione tecnologica difficile da dimostrare senza averla provata estesamente. Arrivato in Egitto, invece, ebbe la possibilità di mettere in luce il suo talento, come risulta dal racconto biblico.
Nell’area della “Mezzaluna fertile” i cereali (utili), presenti, sono due: il frumento e l’orzo. Quest’ultimo ha un seme più piccolo e quindi meno ricco di farina, ma presenta il vantaggio della precocità e quindi risulta più adatto a sfuggire alle avversità climatiche, in particolare alla crescente siccità con l’avvicinarsi della stagione estiva. Anche se alla fine di Pesach si offriva al Santuario il primo covone di cereale della stagione,(identificato dai Maestri nell’orzo) la mietitura dei primi veri e grossi raccolti di cereali avveniva poco prima di Shavuoth cioè 50 giorni dopo). In questo periodo, successivo al momento della offerta del primo “covone” iniziavano a maturare i “bikkurim” cioè le primizie. Da notare che il concetto di “primizie” era definito molto strettamente. Doveva essere di una delle 7 specie che caratterizzano Israele: frumento, orzo, vino (= vite), fichi, melograno, olio di olivo e “miele”. Sulla natura di quest’ultimo si discute ed esiste un’interpretazione piuttosto consolidata che indica che non si tratti di miele di api, bensì di “spremitura” di datteri. Al di fuori di queste specie, la cerimonia dell’offerta delle primizie al Santuario, non poteva aver luogo. La Mishnà illustra anche tutta una serie di limitazioni personali: tra cui l’offerente doveva essere anche il legittimo proprietario del terreno dove la “primizia” veniva prodotta e il terreno dove essere compreso entro il perimetro di Israele.
Ma ci sono anche prescrizioni sulla qualità dei bikurim che devono essere, ovviamente, della miglior qualità: prescrizioni che ci permettono di capire come avvenisse la coltivazione delle varie specie e quali fossero i parametri per ottenere il miglior prodotto. Nella Mishnà ( Bikkurim capitolo 1 Mishnah 3) viene chiarito che i migliori datteri “ non devono essere prodotti sulle colline “mentre i frutti non devono essere coltivati nelle valli (indicazione valida ancora oggi), né l’olio deve essere di qualità meno che eccelsa. Inoltre dovevano esser prodotti al di qua del Giordano perché solo questa era la Terra nella quale scorreva il latte e il miele (oltre alle sette specie tipiche del Paese.
L’offerta del primo frumento era materializzata nella forma di due pani lievitati portati al Santuario nel giorno di Shavuoth.
E questo è un indice dello sviluppo della tecnologia probabilmente acquisita in Egitto. Prima di “scendere in Egitto” il processo di lievitazione doveva essere poco o affatto noto. Infatti quando Abramo dopo aver invitato in casa sua i due sconosciuti “inviati” del Signore, porge alla moglie Sara la farina chiedendole di impastarla rapidamente per rifocillare i due inaspettati ospiti, non vi è nessun cenno al tempo di lievitazione per offrire un pane morbido. Viceversa quando 400 anni dopo, gli ebrei devono affrettarsi ad uscire dall’Egitto “senza nemmeno avere il tempo di far lievitare la pasta per il pane” la mancata lievitazione del pane è diventata un evento storico che viene ricordato da quasi 4mila anni. Si ipotizza quindi che la lievitazione del pane sia una “tecnologia” nata in Egitto quando, a seguito di una imprevista esondazione del Nilo, un deposito di farina venne inondato e il risultante impasto di farina “bagnata” da svariate ore venne cotto, per recuperare il mangiabile. Ci si rese allora conto che invece delle solite dure focacce (tipo mazzah) si otteneva un prodotto assai gradevole e di miglior commestibilità: il pane lievitato. Da Abramo e Sara a Moshé erano passati poco più di 4-500 anni, ma la tecnologia della lievitazione era divenuta così comune che l’“errore “ nella frettolosa panificazione cui furono costretti i figli di Israele nella notte dell’uscita dall’Egitto divenne un evento storico da ricordare per millenni.
L’offerta dei bikkurim si prolungava (avendo per oggetto varie specie) da Shavuot fino a Sukkot (cap 1, Mishnah 10).
L’occasione dell’offerta dei Bikkurim serve alla Mishnà per chiarire tutta una serie di qualità personali dell’offerente: solo coloro che rispondevano a tutta una serie di qualità perfette potevano effettuare l’offerta, recitando anche la formula relativa; ma al di là degli aspetti formali, appare chiara l’ansia di ottenere un buon raccolto, di cui i Bikkurim, le primizie, erano il primo segnale positivo e per le quali si rendeva grazie al Signore.
D’altra parte Israele era (come del resto tutti i popoli dell’antichità) un popolo di agricoltori che basava la propria sussistenza sui prodotti dell’agricoltura. Un “segnale” positivo era un fattore di grande importanza e di rassicurante gioia di cui era giusto rendere grazie al Signore. Oggi, con lo sviluppo del commercio globale, tendiamo a dimenticare l’importanza della produzione della nostra terra. Purtroppo i tragici eventi di una guerra non troppo lontana ci ricordano che non è così: la terra su cui viviamo va curata perché da questa ricaviamo produzioni indispensabili alla nostra sopravvivenza.
Dobbiamo quindi curare la terra perché continui a darci il sostentamento. Un richiamo da non sottovalutare.
Roberto Jona, agronomo