Gramsci e Radek
Le letture estive conducono a volte a strani intrecci geopolitici e concettuali. Mi sembra questo il caso di una lettera inviata nel luglio del 1922 – cent’anni fa esatti – da Antonio Gramsci (allora dirigente comunista inviato a Mosca) al compagno di movimento Karl Radek, in quel momento segretario del Comintern, fortemente preoccupato per la situazione che si andava respirando in Italia a pochi mesi da quella marcia su Roma che segnò l’inizio del regime fascista. Radek era nato a Leopoli sotto l’impero Asburgico in una famiglia ebraica ed era stato fra i protagonisti delle organizzazioni socialiste nella Germania prima della grande guerra e poi nei tentativi rivoluzionari comunisti immediatamente dopo il conflitto. Il Comintern e i suoi dirigenti tentavano da Mosca di innescare l’organizzazione di un fronte comunista compatto che si opponesse alla crescente ondata di violenze politiche che interessava la nostra Penisola, ma come si può leggere dalla lettera di Gramsci la situazione non si presentava poi così omogenea e governabile. Ecco il testo: “Caro compagno Radek, ho letto il manifesto agli operai italiani. Lo approvo nelle sue linee generali. Non posso approvare la parte che si riferisce personalmente a Serrati. Invece di ottenere la scissione del partito socialista con questa parte si determinerà la scissione del movimento comunista. Serrati non ha dietro di sé neppure un operaio della massa, egli ha dietro sé la sua frazione di partito che anche essa non è formata di operai, ma di funzionari sindacali e municipali. Serrati non può parlare in piazza; egli viene fischiato da tutti gli operai, non solo dai comunisti. La parte che riguarda Serrati può essere modificata riferendola ai ‘massimalisti’ in genere.” Fin qui Antonio Gramsci.
Per cogliere lo spunto del grande pensatore sardo, la parte che riguarda Serrati e i massimalisti, a distanza di cent’anni potrebbe essere modificata con altri nomi e altri movimenti… ma qui mi fermo, confidando di non dover assistere in autunno a una marcia su Roma.
Gadi Luzzatto Voghera, Direttore Fondazione CDEC