“Venezia ebraica, grande fermento
Vogliamo essere un esempio”
Sono settimane di grande fermento tra gli ebrei veneziani: l’arrivo del nuovo rabbino capo a inizio settembre; la prosecuzione dei lavori che daranno un nuovo volto al Museo ebraico cittadino; l’apertura di un nuovo ristorante casher in Campo del Ghetto. “Un segno di vitalità che fa ben sperare” sottolinea Dario Calimani, presidente della Comunità ebraica dal marzo dello scorso anno. Elementi distinti ma intrecciati a comporre una strategia “di rinnovamento che guarda al futuro anche attraverso una più ampia partecipazione e un più ampio coinvolgimento dei giovani: per realtà come la nostra, gloriose ma con numeri piccoli, una sfida esistenziale”.
L’avvio del nuovo anno ebraico sarà l’occasione per accogliere in città rav Alberto Sermoneta, per 25 anni rabbino capo a Bologna, la cui assunzione è stata annunciata alcune settimane fa. Da allora il dialogo tra rav e Consiglio si è fatto sempre più intenso per impostare le basi del lavoro che andrà svolto. “Registro un forte e promettente entusiasmo”, spiega Calimani. Sentimento che si augura possa essere la base di molte iniziative già avviate o in rampa di lancio. Al centro una visione che punta a far sì che il declino demografico in atto non sia ineludibile. Ma che al contrario vi sia ancora un futuro per Venezia e per tante altre realtà dell’ebraismo italiano che hanno tanto ancora da dire e dare, anche alla società italiana. Come esplicitava in occasione della sua nomina alla guida della Comunità l’obiettivo è favorire “un clima di convivenza più gradevole”, ma anche avviare “una riflessione profonda sul significato di vita ebraica oggi e sulle giuste condizioni per favorirla”. Fondamentale in questo senso anche la scelta di investire in un ristorante come quello che è appena sbarcato in Laguna: uno dei brand più noti e di maggior successo della ristorazione ebraico-romana. “Una garanzia di qualità sotto molti punti di vista”, evidenzia Calimani.
Non soltanto un posto dove mangiare bene e casher. Ma, nella sua visione, anche un punto di riferimento essenziale per alimentare progetti di identità e cultura. Come appuntamenti di studio, lezioni, seminari. Un primo evento, organizzato insieme al rav Roberto Della Rocca, “ha già visto la presenza di un numero piuttosto significativo di persone”. In questo ambito la possibilità di offrire un momento di ristoro in una cornice suggestiva come quella del Ghetto “si è rivelato un valore aggiunto non trascurabile”.
Un respiro sempre più internazionale alimenta la sfida del museo, forte di un sostegno che va allargandosi nel mondo. “Quello che stiamo cercando di fare è ridare nuova luce all’area del Ghetto: una volta non la si guardava nemmeno. Vogliamo che questo quartiere riviva” ha raccontato di recente al New York Times, che ha acceso la sua attenzione su questo progetto e il suo immenso significato. “Una volta completato il tutto – annunciava Calimani a Pagine Ebraiche – saremo in grado di mostrare come era costruita una casa del ghetto, ricreandone il contesto e l’ambiente. Un investimento culturale che dovrebbe anche stimolare un certo tipo di turismo. E aiutarci in quel compito imprescindibile per ogni Comunità ebraica che è la lotta al pregiudizio e all’antisemitismo”.