Tiranni

Purtroppo è fatale. Le scarsissime possibilità di mediazione nel conflitto Russia-Ucraina, non certo per giungere a una trattativa che sospenda i combattimenti ma solo per porre sul tavolo questioni decisive e irrinunciabili come quella dell’esportazione del grano e quella delle fonti energetiche, oggi non possono che essere affidate a Recep Tayyip Erdoğan, leader accentratore e fondamentalista della Turchia. Il problema è che costui, capo carismatico avvolto da un alone di rigorismo islamico, non è nella sostanza molto diverso dal laicissimo Vladimir Putin che con fredda determinazione ha deciso la guerra di conquista e di distruzione contro Kiev. Coltiva da tempo il sogno di rinverdire ad Ankara i fasti del Califfato in veste contemporanea e ha messo in soffitta il carattere laico e repubblicano impresso alle istituzioni turche da Mustafa Kemal Atatürk. Come ben sappiamo, la censura politica, la repressione violenta della libertà di informazione e di pensiero, l’impossibilità di una autentica opposizione organizzata dominano da tempo in Turchia non diversamente che in Russia. Se con abilità superiore ad altri aspiranti intermediari (fra questi Naftali Bennett) e avvantaggiato dalla stessa cartina geografica si è ritagliato il ruolo di mediatore, lo ha fatto solo con gli occhi ben puntati su interessi geopolitici, proteso a rendere la Turchia quella potenza regionale emergente cui già lavorava da tempo durante le guerre di Libia e di Siria. I suoi obiettivi territoriali e strategici sono ben delineati, e si chiamano espansione ai confini con la Siria, allargamento nel Caucaso meridionale, aumento dell’influenza militare ed economica nel Mediterraneo e nel Mar Nero, funzione di interconnessione rispetto alle nuove fonti e ai nuovi itinerari che il gas dovrà trovare per giungere in Europa, rafforzamento della repressione nei confronti delle minoranze interne “nemiche” come quella curda (le condizioni poste all’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato parlano chiaro). Sono le stesse mete di controllo geopolitico e sociale che si propone quando esige dall’Europa ricompense economiche per bloccare il flusso di migranti pronto a riversarsi verso ovest da un Medio Oriente in guerra. E’ naturalmente lecito, addirittura naturale che uno statista ponga al centro della propria visione gli interessi politici ed economici del proprio Paese; un po’ meno che questi interessi si traducano in un espansionismo imperiale e repressivo, in oppressione delle minoranze e privazione della libertà. Se approfondiamo il confronto tra i due tiranni Putin ed Erdoğan, al di là delle analogie accentratrici e liberticide cogliamo le differenze tra i personaggi: Putin è di ghiaccio e appare calcolatore ma si spinge oltre i limiti, non è opportunista ma atrocemente visionario nella prospettiva di nuovo impero che vuole riaprire ad ovest per la Russia, appare disposto a sconvolgere gli assetti territoriali ed etnici stabilizzati un po’ come lo era Hitler; Erdoğan è più furbo e sottile, non si cimenta in aperte guerre di conquista attirandosi l’odio di mezzo mondo ma accumula credito e potere internazionale, rendendosi prezioso come unico anello di congiunzione forse possibile ed esigendo un prezzo politico per questo suo ruolo oggi indispensabile.
È comunque inquietante e molto triste che l’Europa e il mondo occidentale debbano in parte affidarsi a una figura dittatoriale come il leader turco. Quando poi leggiamo che i due capi politici sono in procinto di incontrarsi tra loro in Iran e di dialogare col Presidente iraniano Ebrahim Raisi sulle più importanti questioni internazionali e su quelle comuni ai tre Stati, allora davvero ci cadono le braccia: due tiranni che parlano tra loro e conferiscono con uno dei vertici di un intero Stato tirannico quale la Repubblica Islamica dell’Iran, mentre il mondo occidentale sarà destinato a subire le conseguenze del loro confronto, certo non indirizzato a promuovere pace e democrazia ma a spartirsi posizioni di dominio! Qualcuno potrebbe obiettare che per mediare occorre sporcarsi le mani. Personalmente risponderei che il satrapo turco le mani le ha già sporche di suo e che da un vertice tra dittatori niente di buono potrà emergere.
In questi tempi di guerra e di orrori, di crisi europea e di inflazione galoppante, di rischio di recessione e di gravi problemi sociali vorremmo poter contare ancora su punti di riferimento occidentali forti e sicuramente democratici, come per tanti anni è stata Angela Merkel e come Mario Draghi è stato sino ad oggi, prima che la visione piccola ed egoistica dei Cinquestelle tentasse di porlo fuori gioco. Dovremo invece puntare sulle capacità di mediazione pro domo sua messe in campo da un tiranno?
David Sorani

(19 luglio 2022)