Ticketless – Repubblica e gli ebrei
La scomparsa di Eugenio Scalfari induce a riflettere che cosa sia stata la sua creatura più fortunata, il quotidiano Repubblica, rispetto alla questione ebraica e al Medio Oriente. Ricordo la sensazione provata alla nascita di un giornale che portava una ventata di novità e si presentava realmente come cosa nuova. Ogni giorno si allargava la galleria di firme note, mentre firme di emergenti diventavano via via famigliari. S’imparava molto e qualche illusione nasceva in chi sperava di trovare uno strumento che avrebbe allargato il campo e dunque migliorato le sorti elettorali di una terza forza né comunista né democristiana. C’era, tra chi era un po’ più anziano di me, il ricordo di che cosa era stato L’Espresso e soprattutto Il Mondo. L’illusione svanì abbastanza presto e il Medio Oriente si capì che sarebbe stato una cartina di tornasole. Il momento nevralgico – e poco incoraggiante – fu l’estate della guerra del Libano, la lunga estate culminata con Sabra e Chatila e poi l’attentato a Roma con la morte del piccolo Stefano Gaj Tachè. Qui la navicella di Scalfari oscillò in mezzo a quella tempesta. Lo sconcerto coinvolgeva larghi strati della opinione pubblica, ma le colonne del giornale di Scalfari furono il luogo dove si consumò un dramma nemmeno così piccino e si lessero titoli, vignette e editoriali molto sbilanciati. Ne hanno scritto Schwarz e Marzano in un bel libro di qualche anno: vi fu un controverso pezzo dello stesso Scalfari, che suscitò reazioni. Non vedrei male una prosecuzione del loro lavoro con una tesi di dottorato specifica sulla crisi interna che credo abbia diviso la redazione del giornale. Oltre ai nomi di Rosellina Balbi e Mario Pirani che di solito vengono fatti, mi piacerebbe aggiungere le posizioni anomale e personali, fuori del coro, che espressero due firme autorevoli: Beniamino Placido e Alberto Arbasino. Un intervento di quest’ultimo all’indomani dell’attentato alla sinagoga romana mi è capitato di recente di rimetterlo al centro di una riflessione su quella tormentata estate che fra l’altro s’accompagna all’uscita di Se non ora, quando? di Primo Levi, romanzo che fu letto e recensito sostanzialmente in funzione anti-Begin e anti-Sharon. E forse anche una tesi sugli scritti di cose ebraiche (cinema, teatro, storia dell’arte, storia del costrume) di un grande scrittore come Arbasino (eletto deputato come indipendente nella lista del PRI) non sarebbe del tutto inutile. Per non dire una rilettura attenta e sistematica delle recensioni di judaica firmata da Placido.
Alberto Cavaglion
(20 luglio 2022)