Memoria degli ebrei di Libia,
un incontro allo Yad Vashem
Un gruppo di studiosi italiani sta partecipando in questi giorni a un seminario di approfondimento sulla Shoah allo Yad Vashem, in collaborazione con l’Università di Firenze. I curatori del seminario sono Silvia Guetta per l’Università fiorentina e Rocco Giansante per Yad Vashem. Molti sono gli argomenti trattati e gli incontri con gli specialisti stanno facendo emergere aspetti e situazioni sconosciuti che col passare del tempo fanno capire una complessità della quale ancora molto tasselli mancano. Fra le comunità ebraiche delle quali si sta pian piano ricostruendo con precisione la storia vi è quella libica, che non solo ha subito la Shoah ma anche ulteriori persecuzioni. Proprio durante l’approfondimento di questa comunità tenuto dalla professoressa Livia Tagliacozzo è intervenuta Allegra Naim Guetta, che ha portato la sua testimonianza di quei tragici anni. Nata il 10 febbraio del 1928 a Bengasi in una famiglia agiata composta da tre fratelli e sette sorelle, fino al 1939 aveva trascorso un’infanzia serena e tranquilla e anche le leggi razziste mussoliniane che stavano penetrando non avevano ancora scatenato quei timori e quei presagi di persecuzione. Con lo scoppio della guerra Bengasi però viene colpita duramente e tutta la famiglia comincia a cercare un rifugio per ripararsi e a spostarsi da un luogo ad un altro. Nel 1942 la ragazzina Allegra, che aveva vissuto senza amiche, senza scuola, con tanta solitudine, sale col papà e tutta la famiglia su un camion insieme ad altre sei famiglie e dopo un viaggio faticoso per strade impervie giunge al campo di concentramento di Giado tutto circondato di filo spinato e composto di dieci padiglioni. Furono mesi di stenti, di fame, tifo e altre malattie: ogni giorno assisteva alla morte dei presenti al campo. Questo inferno durò fino al marzo del 1943, quando gli inglesi arrivarono a liberare il campo. Di quel giorno ricorda con piacere il sapore di una galletta con sopra la marmellata che la rese consapevole che la fame e gli stenti erano finiti. Purtroppo la gioia di una libertà riacquistata svanisce poco dopo perché il papà si ammala gravemente. Lo porta all’ospedale per le cure e con amore e dedizione sta giorno e notte accanto a lui ma dopo quattro giorni la morte lo coglie e con un immenso dolore, orfana della persona a lei più cara, fa ritorno a Bengasi. Ormai è una signorina cresciuta troppo in fretta e comincia a lavorare prima come sarta e poi come stiratrice per gli inglesi. Decide poi che in Israele formerà la sua famiglia. Infatti incontra nel 1951 il marito, dal quale avrà due figli e sei nipoti. Ora vive serenamente a Tel Aviv. Ai presenti ha concluso la sua commovente testimonianza con queste bellissime parole: “Quello che il Signore dà va accettato. Dobbiamo vivere in pace con tutto il mondo: non c’è arabo, italiano, inglese… contano sono la salute e la serenità. Il mondo non è cattivo, le persone si! Noi però vogliamo vivere in pace”.
In seguito David Gerbi, presidente di Astrel, ha parlato della Libia da Gheddafi ai giorni nostri.
Centinaia furono gli ebrei uccisi in Libia durante la Shoah: 560 morirono a Giado, dove Allegra fu deportata.
Anita Monica Leonetti
(21 luglio 2022)