Il futuro dell’Italia
La campagna elettorale al centro dei quotidiani oggi tra scontri interni a partiti e coalizioni e scenari futuri. Molta attenzione in particolare al possibile successo di Fratelli d’Italia alle urne e il conferimento della guida del paese a Giorgia Meloni. Una prospettiva, scrive il direttore di Repubblica Maurizio Molinari che quotidiani di diverso orientamento come Financial Times, New York Times, Figaro, El Pais, The Times, The Economist e Die Welt ha descritto con preoccupazione. C’è, scrive Molinari, “un dilagante timore che una forza politica ‘post-fascista’ come FdI d’intesa con un leader come Salvini – forse uno dei più vicini al Cremlino nell’intera Ue – precipiti l’Italia nel ruolo di pedina di tutti coloro che vogliono generare scompiglio nel campo delle democrazie”. Sulle stesse pagine Paolo Berizzi ricorda alcuni inquietanti legami tra Meloni e alcuni personaggi dell’estrema destra – ad esempio l’americano Steve Bannon che la definì una “fascista, neofascista” – così come i diversi casi di esponenti di Fratelli d’Italia associati al neofascismo (tra gli ultimi esempi l’indagine di Fanpage sulla “lobby nera” a Milano).
Il peso del passato. “La Meloni si liberi dei fascistissimi ora” l’appello di Antonio Padellaro sul Fatto Quotidiano. Il Giornale invece, criticando le posizioni assunte ad esempio da alcune voci del New York Times (l’editorialista David Broder scrive, in merito al possibile successo di FdI, “Il futuro è l’Italia, ed è desolante”), aggiunge che “tra gli alleati, Forza Italia e Lega, c’è il timore che la Meloni sia molto attaccabile su questo fronte del pericolo fascista, alimentato dalla stampa internazionale, quella che leggono a Bruxelles. E che quindi una candidatura della Meloni a premier del centrodestra possa indebolire la coalizione in campagna elettorale”. Per il politolo francese Marc Lazar (Repubblica) come Marine Le Pen oltralpe, “Meloni sta facendo quello che in Francia chiamiamo dédiabolisation, ossia apparire più responsabile, accettabile, conservatrice. Tuttavia, anche se Fratelli d’Italia non è un partito neofascista, Meloni non ripudia il fascismo, e rimane ambigua, a differenza di quanto fece Fini. Meloni continuerà a essere vicina all’ungherese Orbán su temi come famiglia, stranieri e minoranze. Come lui e Le Pen, non dice più di voler uscire dall’Ue, ma vuole ‘cambiarla da dentro”.
A sinistra intanto il messaggio del leader del Pd Enrico Letta è chiaro: “L’Italia scelga: o noi o Meloni”. Così almeno lo riassume Repubblica nel titolo di un’ampia intervista con il segretario Pd.
Missili su Odessa. “Non sono passate nemmeno 24 ore dalla firma dall’accordo siglato a Istanbul tra Kiev, Mosca e Turchia sotto il controllo delle Nazioni Unite per garantire il transito del grano, quando i missili Kalibr, sganciati probabilmente da un sottomarino, iniziano a sfrecciare sopra Odessa. Due colpiscono la zona commerciale del porto. Gli altri vengono intercettati dalla contraerea”. È il racconto del Corriere della Sera di quanto avvenuto sul fronte ucraino. Qui, poche ore dopo la firma di una prima e fragile intesa per permettere l’esportazione del grano ucraino, la Russia ha colpito con i suoi missili. “Questo attacco dimostra solo una cosa. Non importa quello che la Russia dice e promette, troverà il modo di non attuare questo accordo”, afferma il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Razzismo sul treno. Un trentacinquenne di Prato è stato fermato con l’accusa di aver strappato il niqab dal volto di una donna al settimo mese di gravidanza, di averla strattonata e spinta fuori dal treno. Il vergognoso caso è avvenuto il 15 luglio scorso alla stazione di Calenzano (Firenze). La donna, che era insieme al figlio di undici anni, ha subito sporto denuncia e l’uomo è stato fermato dalla polizia. La procura di Prato ha aperto un fascicolo per lesioni e violenza privata aggravata dai motivi abietti e dall’odio razziale. Su La Stampa Karima Moual riflette sul caso aprendo lo sguardo. “Se è ovviamente inaccettabile che un uomo faccia violenza ad una donna strappandole quello che per lui è un ‘burqa’, con i significati annessi (probabilmente trasmessi soprattutto da slogan facili), e una sfumatura di odio razziale su cui bisogna riflettere, non si può rimanere ciechi su un altro aspetto di questa storia: la vittima. – scrive Moual – Una donna, che vive in un paese libero come il nostro e porta il burqa o il Niqab, simbolo di oppressione e mutilazione, è un problema sul quale bisogna interrogarsi provando a dare risposte chiare”. “Non sappiamo – aggiunge Moual- perché lo porti né quale significato gli dia. Finché non capiremo l’impalcatura sulla quale si è costruito quel simbolo non potremmo mai esserle d’aiuto. Altrimenti, continueremo ad investire nell’oscurantismo di chi pensa che basti strappare un velo per liberare le donne musulmane o liberarci da chi consideriamo barbaro”.
Segnalibro. Su Repubblica Corrado Augias recensisce l’ultimo lavoro dello storico Alberto Cavaglion, La misura dell’inatteso (Viella). “Titolo bello e allusivo, ricavato da un pensiero di Arnaldo Momigliano, reso subito concreto dal sottotitolo: Ebraismo e cultura italiana. Pagine – scrive Augias – in cui si racconta un lungo rapporto segnato da difficoltà e aperture, riconoscimenti e persecuzioni”. Diciannove i saggi del volume che prendono il via dal 1815, la Restaurazione dopo Waterloo, e arrivano al 1988. “Cavaglion – evidenzia Augias – insegna Storia dell’ebraismo a Firenze, sa talmente bene di che cosa parla da dare conto delle incomprensioni sia di una parte sia dell’altra – anche se torti e ragioni restano di diversa misura”. Sul Domenicale del Sole 24 Ore invece si cita l’uscita del saggio di Silvia Mazzucchelli Oltre lo specchio. Claude Cahun e la pulsione fotografica (Johan e Levi), dedicato all’artista, fotografa e scrittrice attiva nella Francia della prima metà del Novecento.
I racconti di Keret. “Per il suo quarantanovesimo compleanno Shleifer le aveva comprato quarantanove regali. Quarantanove regali diversi, ognuno da un Paese differente: un profumo dalla Francia, una bottiglia di sakè dal Giappone, un fermacapelli dalla Costa d’Avorio. Aveva avvolto ogni regalo con una carta del colore della bandiera del Paese da cul proveniva, e la mattina del giorno fatidico si era alzato presto, aveva sistemato tutto sul tavolo e aveva teso tra l’asta della tenda e il lampadario un drappo di seta, su cui aveva ricamato con le sue stesse mani in lettere d’oro, ’49 primavere per la mia Avivit’”. È l’incipit dell’originale racconto dello scrittore israeliano Etgar Keret pubblicato oggi dal Corriere Lettura.
In mostra. Si torna ancora a parlare della mostra dedicata a Julius Evola, noto antisemita e ideologo del “razzismo spirituale”. A difendere l’esposizione in corso al Mart di Rovereto è la firma del Corriere Carlo Vulpio, che nel suo articolo sostiene le qualità artistica dei dipinti di Evola. Questi, scrive Vulpio, “ha dipinto solo per un breve periodo della sua vita, dal 1915 al 1924 cioè dai 17 ai 23 anni. E questo è ciò che a noi, e alla mostra, interessa. Il pittore”. Ma si può prescindere, senza censurare, dal raccontare chi sia stato Evola e quale nefasta influenza abbia avuto?
Musica. Il compositore e direttore d’orchestra americano John Adams è protagonista di un’intervista rilasciata a La Lettura del Corriere. Adams, tra l’altro, ha composto “The Death of Klinghoffer”, controversa opera del 1991 dedicata all’azione terroristica palestinese sull’Achille Lauro del 1985 in cui fu assassinato Leon Klinghoffer. Quando l’opera uscì la famiglia Klinghoffer, presente alla prima, la definì antisemita. Alcuni critici la considerarono poi troppo bendisposta nei confronti dei terroristi palestinesi. Oggi al Corriere Adams sostiene: “Ciò su cui l’opera si concentra davvero è però l’intensità emotiva di una donna per la perdita del marito e il senso di desiderio e isolamento che l’esilio, sia ebreo che palestinese, può generare. Non ho mai visto il mio lavoro come un veicolo per inviare un messaggio politico, alla Bertolt Brecht. Ciò che mi interessa è l’intima esperienza umana”.
Daniel Reichel