Dossier Italkim – “La mia aliyah, scelta di consapevolezza”
Membro illustre della comunità degli italkim è Sergio Della Pergola, accademico e demografo di fama. Natali a Trieste, una miracolosa salvezza al tempo delle persecuzioni nazifasciste con espatrio in Svizzera, studi e gioventù a Milano e infine Gerusalemme dove risiede ormai da oltre mezzo secolo. La scelta dell’Aliyah, almeno per lui, maturò in un momento dirimente: la Guerra dei Sei Giorni del giugno del 1967. “Mi trovavo a Gerusalemme da qualche mese per un dottorato all’Università ebraica quando arrivò la guerra”, racconta Della Pergola. “Un’esperienza traumatizzante, con la stessa università che fu cannoneggiata dai giordani. E poi il post-guerra, quella sensazione diffusa in tutta Israele che dopo aver salvato la pelle sarebbe potuta comunque arrivare la pace”. Una combinazione di emozioni che lo avrebbero spinto a restare, senza neanche pensarci più di un tanto. “La mia sottolinea fu una scelta libera, programmatica, ideologica. Anche logica”. I semi di quella fascinazione erano però maturati da anni, e non solo nel salotto di una casa, quella in cui era cresciuto, dove si respirava da sempre sionismo. “Fu al tempo della maturità, quando come premio per gli studi ottenni un viaggio in Israele insieme ad alcuni amici. Lo attraversammo per intero in autostop. La sensazione che provai fu quella di un Paese ‘puro’, con entusiasmo e pionierismo indimenticabili. Me ne innamorai subito, in un modo che definirei fisico”.
Dal 2016 al 2020 Della Pergola è stato a capo della Hevrat Yehudè Italia, la Comunità ebraica italiana. Un’esperienza molto intensa nella quale, oltre ad alcune riforme strutturali, sono state gettate le basi per alcuni progetti di ristrutturazione avviati di recente. Ma il suo coinvolgimento nelle vicende degli italkim ha radici più antiche. “È un mondo che è molto cambiato nel tempo”, osserva Della Pergola. “Negli anni in cui anche io ho compiuto l’Aliyah riflette lo studioso questa scelta era motivata soprattutto da ragioni ideologiche ed era intrapresa da persone con un background intellettuale di un certo tipo, con un profilo che si potrebbe definire ‘impegnato’. Gradualmente invece è diventata una opzione sempre più adottata anche per mera necessità, con il coinvolgimento di strati economico-sociali meno presenti in passato. Un processo che si è sviluppato soprattutto a Roma, dove l’idea dell’Aliyah non era diffusa come in altre comunità”. Non è un caso, aggiunge il demografo, “che abbiamo avuto un picco tra il 2012 e gli anni seguenti, in una fase abbastanza complessa per l’Italia”.
Parte delle speranze con cui scelse Israele ormai 55 anni fa “si sono infrante, soprattutto sul piano politico, con un Paese che appare oggi ingovernabile e con lo spettro di un possibile rischio eversivo in un prossimo futuro”. Il bilancio personale di Della Pergola è però positivo: “Ricalcando quel che diceva Vittorio Dan Segre anche io posso dirmi un ‘ebreo fortunato’. Ho avuto una carriera accademica appagante, ho raggiunto gli obiettivi che mi ero prefisso e ho una splendida famiglia. Io e mia moglie Miriam siamo stati gratificati da quattro figli e dodici nipoti. Tutti diversi l’uno dall’altro e perfetti rappresentanti, in ciò, dell’intera antropologia fisica del mondo ebraico”. Della Pergola parla di Israele come di un “Paese dalla vitalità nettamente superiore alla media, anche guardando alle possibilità riservate ai suoi giovani: un Paese ricco di capacità creativa, originalità, ottimismo e buona volontà di fare le cose”. Qualità “che rivelano la forza di questa nazione”. Il problema, conclude Della Pergola, “è che il Paese va anche gestito politicamente, e qui la situazione si sta facendo inquietante”.
(Nell’immagine Sergio Della Pergola assieme a Ibrahim Washahi, studente arabo-israeliano e compagno nel dormitorio dell’Università ebraica di Gerusalemme tra il 1966 e il 1967)