Populismo disgregatore
e solidarietà nazionale
Il colpo di coda di un populismo che troppi davano per morto ha provocato dunque un cataclisma destinato ad avere effetti disastrosi per la situazione politica, economica, sociale italiana in una fase di grave crisi mondiale ed europea che ha al centro il baratro della guerra in Ucraina. E questo proprio quando con un balzo in avanti legato alla competenza e al prestigio internazionale di un leader super partes come Mario Draghi il nostro paese sembrava positivamente avviato verso un concreto recupero di credibilità nel seno dell’Unione Europea e un superamento delle sue pur persistenti difficoltà. La natura stessa del populismo, di destra o di sinistra che sia (cioè di marca salviniana/berlusconiana o di marca pentastellata), porta allo sfruttamento per fini di puro potere e di vantaggi personalistici di ogni condizione favorevole all’acquisizione di consensi, senza effettivo riguardo ad autentici obiettivi politico-sociali, proclamati solo per pura convenienza nel controllo delle masse. In conseguenza di ciò, ogni gruppo populista è per sua intrinseca essenza potenzialmente disgregatore rispetto a quei progetti costruttivi destinati davvero al bene comune che per forza di cose richiedono mediazione, senso delle proporzioni, rinuncia a rendite di posizione. La crisi finale alla quale increduli abbiamo da poco assistito è la traduzione di questi principi in termini concreti e drammatici: il Movimento Cinquestelle – ormai travolto dalle convulsioni autodissolutorie di una continua lite interna – ha avviato e tenuto acceso il meccanismo di distruzione del governo pur di non rinunciare alle proprie posizioni di principio (i famosi 9 punti di Conte), al di là dei reali vantaggi degli strati sociali più deboli di cui si proclama difensore; Lega e Forza Italia, da par loro, non se lo sono fatto ripetere due volte e forti dei sondaggi pre-elettorali a vantaggio della destra hanno sfruttato immediatamente l’occasione offerta dai loro nemici/colleghi populisti grillini per andare subito al voto, in barba ai tanto conclamati interessi “degli italiani”. “Gli italiani” dei retorici manifesti populisti, le masse anti-sistema e appartenenti al ceto medio-basso, hanno tutto da perdere da uno scioglimento anticipato delle Camere che vanifica i provvedimenti sociali che il governo Draghi si apprestava a mettere a punto. Ma tant’è, facendo saltare il banco si dona nuova vitalità all’immagine populista ormai sbiadita e forse si riesce a raccattare qualche voto in più, che è l’obiettivo immediato e tangibile, quello che permette di accedere all’unica vera meta populista, il potere per il potere per i capi, il più a lungo possibile e con un appoggio sedicente democratico sottolineato a suon di social media. Sostenitrice entusiasta di questa linea di disgregazione rigeneratrice è naturalmente Giorgia Meloni, l’unica che peraltro può esserlo a buon diritto come oppositrice da sempre del governo Draghi. In testa nei sondaggi, sin d’ora si dice pronta a entrare a Palazzo Chigi come leader populista/sovranista. Un esecutivo a guida post-fascista pare preannunciarsi dopo le elezioni di settembre: sarebbe la ciliegina sulla torta dell’Italia allo sfascio in cui ci troviamo improvvisamente immersi.
Di fronte al panorama sconfortante che si dipinge davanti ai nostri occhi, a quale ancora di salvezza, a quale salvagente appigliarsi? Forse a quel senso di appartenenza collettiva, a quello spirito di comunità legati all’essere cittadini dello stesso Stato; a quella condivisione di problemi ma anche di storia che fa degli italiani un popolo (nel senso vero e articolato, non populistico del termine). Per usare un’ espressione che rischia di apparire pomposa e altisonante ma ha una sua reale sostanza, il punto di incontro che il Parlamento non ha saputo trovare il 20 luglio e che ora dovremmo recuperare per salvarci da future derive è la solidarietà nazionale. Quella effettiva però, non la formula delle coalizioni di governo che cela al suo interno lotte al coltello.
Credo che sotto questo profilo il mondo ebraico possa offrire un orientamento di fondo. Dissapori, polemiche, critiche, proliferazione di opinioni divergenti sono una forza dell’ebraismo sin dall’epoca del Talmud, e forse sin dalle proteste del popolo contro Moshè Rabbenu. Ma il comune destino di nazione legata a una serie di idee caratterizzanti e di pratiche condivise (partendo dal principio monoteista per giungere sino alla struttura sociale della Keillah) ci ha fornito un tessuto unitario sul quale aggregarci coltivando le nostre diversità e opposizioni. Le persecuzioni figlie del pregiudizio che ci hanno colpito per secoli hanno cementato una appartenenza talvolta settaria ma nel fondo solidale. L’unità nei momenti difficili in nome di ciò che accomuna è una possibile lezione che giunge dall’universo ebraico.
David Sorani
(26 luglio 2022)