Fake news
Abbiamo accennato, nella scorsa puntata – ai fini di un inquadramento dei versi del XVII Canto del Purgatorio riservati a Ester, Assuero, Mordechai e Amàn -, alla possibile usanza, da parte di alcune antiche comunità ebraiche, di dare alle fiamme, in occasione della festa di Purìm, l’immagine del perfido Amàn crocifisso. Le fonti al riguardo non sono del tutto affidabili, e qualche motivo di dubbio è dato dal fatto che il gesto sarebbe apparso inevitabilmente oltraggioso agli occhi dei cristiani, che nella persona crocifissa avrebbero potuto facilmente identificare non Amàn, ma Gesù. Al di là della realtà di questa pratica (che, ovviamente, con Gesù, in ogni caso, non aveva niente a che fare), l’idea che ciò avvenisse suscitò una violenta reazione, facendo nascere e diffondere malevole dicerie popolari antisemite. Sarebbe stata artatamente propagata, in particolare, la maligna “fake news” secondo cui a Imnestar, cittadina tra Antiochia e Calcide, alcuni ebrei, durante la celebrazione del Purìm, avrebbero rapito un bambino cristiano per appenderlo a una croce, portarlo in giro per la città e poi ucciderlo.
Secondo il Gotofredo, tale episodio avrebbe indotto gli imperatori Onorio e Teodosio I, nel 404, a emanare una legge (riportata nei Codici Teodosiano e Giustiniano, studiata, con grande attenzione e perizia, da ultima, da Mariateresa Amabile, sulla scia di grandi Maestri quali Linder e Rabello), con la quale – come già ricordato nella nota del 16 marzo 2016 – si vietava agli ebrei di dare fuoco all’effigie di Amàn crocifisso, in quanto tale gesto sarebbe stato chiaramente blasfemo e sacrilego, dal momento che portava evidente offesa e dileggio alla Passione di Cristo. Secondo altri autori, invece, la norma teodosiana sarebbe stata precedente alla leggenda dell’infanticidio di Imnestar.
In realtà, stabilire il rapporto cronologico tra la norma teodosiana e la notizia di tale episodio ha un’importanza relativa, perché la prima è una legge imperiale certamente emanata, e arrivata fino a noi, mentre il secondo non è altro che una delle tante maldicenze antisemite propagate attraverso i secoli. Quel che è certo è che il legislatore cristiano mostra di dare per scontata non solo la pratica dell’esibizione della croce durante la festa di Purìm, ma anche la convinzione che essa avvenisse con riferimento alla crocifissione di Gesù, in evidente segno di disprezzo e dileggio.
Al riguardo nulla impedisce di credere che alcuni ebrei, durante il Purìm, usassero ribadire l’esecrazione verso Amàn, anche esibendone l’effigie (nonostante il divieto mosaico di riprodurre immagini: ma potrebbe essersi trattato di semplici pupazzi). Molto improbabile, però, come già notato nella nota del 2016, che tale effigie lo riproducesse come crocifisso, sia perché nel libro di Ester si parla di impiccagione, sia, soprattutto, perché è evidente che tale scelta, in una società cristiana pervasa da forte antisemitismo, sarebbe apparsa evidentemente pericolosa. Decisamente da escludere, invece, che gli ebrei osassero apertamente recare oltraggio alla persona di Gesù, addirittura in pubbliche manifestazioni.
È un dato di fatto, però, che gli imperatori cristiani mostrano di credere alla pratica di tale usanza, in senso direttamente anticristiano. Se questa non esisteva, almeno con tale finalità, la legge sarebbe stata quindi inutile, dal momento che avrebbe vietato qualcosa che nessuno faceva, né avrebbe mai avuto intenzione di fare.
Non ci sarebbe, però, da stupirsi di ciò, in quanto la legislazione romano-cristiana riguardo agli ebrei, accanto alle finalità dispositive e repressive, aveva spesso forti motivazioni di ordine polemico, catechetico e ideologico. Evidente intento di molte leggi sugli ebrei, dal quarto secolo in poi, era soprattutto quello di sobillare sospetto, odio e ripugnanza verso il popolo che si accusava di essere ‘deicida’ e che non contento avrebbe continuato a farsi beffe di Cristo, unitamente all’intera cristianità. Individui così abietti andavano isolati, disprezzati, messi al bando. Erano gli empi membri di una “nefaria secta” (l’espressione scelta dalla Amabile come titolo per la sua serie di libri sulle leggi imperiali “de Iudaeis”).
Fatto sta che l’idea di Amàn crocifisso attraversa i secoli e arriva fino a Dante (che ce la ripropone nel XVII Canto del Purgatorio), e poi ancora, forse, fino a Michelangelo (che, nella Cappella Sistina, ritrae un Amàn legato a una specie di croce: ma l’attribuzione è dubbia). Leggere i versi danteschi su questa controversa rappresentazione può essere un buon ‘test’ per valutare l’atteggiamento del poeta nei confronti di quel popolo che Amàn volle distruggere e che Onorio e Teodosio, come tanti altri imperatori romani, vollero coprire di malevolenza e disprezzo. Vedremo la prossima puntata qual è stata la posizione di Dante. Che – anticipiamo – è degna della più alta ammirazione.
Francesco Lucrezi
(27 luglio 2022)